Seguendo la pista bulgara al ritmo della chalga con il pullman di Radio Popolare
19/6/2015
Controllo passaporti. La poliziotta bulgara prende il mio passaporto, cerca la pagina con la foto e alza gli occhi. Mi squadra prima con aria professionale, poi legge la scritta in cirillico “Crvena Zvezda” (Stella Rossa, è la mitica squadra di calcio di Belgrado, ndr) sulla mia maglietta. Sorride e la indica anche al collega, che era distratto. Posso passare. Lo ammetto, la scelta non era del tutto casuale. Serbi e bulgari sono due popoli amici da sempre, anche se due guerre mondiali li hanno divisi. Li uniscono la “slavitudine”, la lingua, che tutto sommato è simile, e la comune religione ortodossa, che ha il suo peso. Non era neanche, per la verità, uno stratagemma “tattico” studiato, ma come tale ha funzionato. Non che avessi niente da nascondere, intendiamoci. Non sto tentando di importare della droga in Bulgaria. Ma essere accolto con un sorriso mi piace di più.
E così… finalmente Sofia! È da parecchio tempo che progettavo questo viaggio, forse fin da quando comprai il cd di Ratka Piratka a un Banco di Garabombo di qualche anno fa e scoprii che questa città è una delle capitali riconosciute della musica balcanica. Sì, lo dichiaro subito: la musica è la ragione principale che mi ha spinto a venire fin qui. Certo, non è l’unica: ci sono le chiese ortodosse, i monasteri, le icone, il gusto un po’ retrò dei resti del socialismo reale, le montagne… il cibo, il vino e la rakia, perché no. Ma senza la musica il mix non potrebbe funzionare. Gli altri ingredienti si potrebbero forse, presi singolarmente, anche togliere, ma la musica no.
E allora, cosa c’è di meglio che venirci con Radio Popolare, che quel cd lo aveva prodotto e lanciato? Di più, con i due artefici della trasmissione che gli dava il nome: Claudio Agostoni e Paolo Giulini. Claudio, come si dice, non ha bisogno di presentazioni. Paolo, per chi non lo sapesse, oltre che criminologo di chiara fama e autore/conduttore della ormai storica trasmissione di cui sopra, è anche di origini bulgare da parte di madre e ha quindi tutte le caratteristiche ideali per accompagnarci in questa purtroppo breve incursione.
E cosa c’è di meglio per entrare subito nel clima che un piccolo assaggino di musica balcanica appena messo piede sul suolo bulgaro? Detto fatto, ecco che tre musicisti salgono con noi sul pullman che ci porta dall’aeroporto al centro città. Scopriremo poi che manca il cantante, ma il percussionista cerca di non farlo rimpiangere. Sì, per me è una sorpresa un po’ per modo di dire: ho ascoltato lo speciale di Claudio Agostoni sul primo viaggio con la radio a Sofia due anni fa e so che è successo anche allora. Ma non importa.
Con il nutrito gruppo di ascoltatori e amici della radio (38 persone, un gruppetto anche da Roma) c’è anche Elisa, di Viaggi&Miraggi, che ci ha accolto a Malpensa e che ci farà da angelo custode per tutto il viaggio. Viaggi&Miraggi come sempre fornisce il supporto organizzativo e le guide, in collaborazione con un’agenzia locale. All’aeroporto di Sofia abbiamo trovato Yordanka, che anche lei ci seguirà in tutte le nostre scorribande bulgare. Lei vive attualmente a Vigevano e parla naturalmente uno splendido italiano, ma qui ci sono le sue radici e qui torna di tanto in tanto. Per noi sarà costretta a trascurare un po’, speriamo non troppo, il suo bambino di pochi mesi, che sta ancora allattando.
Arriviamo al Central Park Hotel (sì, lo so, il nome è discutibile, ma tant’è… poi c’è un parco anche qua), lungo il Vitosha Bulevard, poco distante dal centro di Sofia.
Questa volta non ho bisogno di conoscere il mio compagno di stanza: è Giuseppe, che era già con me, anche se non nella stessa camera, negli altri viaggi con la radio a Istanbul e in Marocco. Siamo insieme da stamattina perché, dato che abitiamo vicino, mi ha offerto un passaggio in macchina fino a Malpensa. Ma questo è niente, è veramente un uomo di una gentilezza infinita Giuseppe. Un uomo d’altri tempi, si usa dire in questi casi. L’espressione è abusata, ma nel suo caso è davvero appropriata, naturalmente se la si usa solo nella sua connotazione positiva. E non è assolutamente una questione di età.
Ci sono poi, ovviamente, altre persone che conosco già, essendo ormai un veterano dei viaggi con la radio: questo è il quarto per me. Data la mia memoria labile, a volte faccio casino con i nomi o non ricordo chi ha partecipato a quale viaggio, ma di gente ne conosco.
Ci sistemiamo molto rapidamente nelle nostre confortevoli stanze perché la serata si presenta già piena: ci aspetta una cena con spettacolo di danze folkloristiche.
Usciamo per cambiare i primi euro in lev, la moneta locale (al plurale leva). Il profumo dei tigli riempie l’aria. Sofia, contrariamente all’immagine grigia che forse qualcuno ne avrà, è una città molto verde, con un rapporto alberi/abitanti tra i più alti in Europa. Non è messa male neanche a locali notturni. Qui ci dicono che nel mondo la batte solo Las Vegas, ma onestamente il dato resta un po’ da verificare. Di certo è il top per la chalga, una forma di musica folk balcanica molto contaminata con il pop e con influenze greche, turche, arabe e chi più ne ha più ne metta.
Stasera il locale scelto per la nostra prima cena bulgara è il Chevermeto, dove si parte dal folk tradizionale per poi spaziare verso la chalga.
Prima, però, abbiamo modo di far conoscenza anche con la cucina bulgara che, come quella turca ma anche quella balcanica in genere, prevede il rito dei meze, gli stuzzichini con cui si inizia il pasto. Sono quasi sempre a base di verdure (pomodori, cetrioli, peperoni, cipolla, ecc.), yogurt e formaggio. Sui latticini vale la pena di spendere qualche parola. I bulgari, intanto, si vantano di avere inventato lo Yogurt. Greci e turchi non sono affatto d’accordo, ma dalla loro i bulgari hanno il nome scientifico del batterio utilizzato per prepararlo, niente meno che lactobacillus bulgaricus. Se non è una prova questa… Per i formaggi, quelli bulgari sono tendenzialmente due: il sirene, che è un formaggio bianco morbido molto simile alla feta, e il kashkaval (ebbene sì), che è un formaggio giallo a pasta dura. Ma con questi soli due, è incredibile quanti piatti diversi riescano a preparare: le varianti sono pressoché infinite.
Tra i meze possiamo trovare però anche carne, principalmente nella forma di polpette (kyufte) e di salsicce speziate (kebabche, i fratelli bulgari dei cevapcici dei balcani occidentali).
La differenza con gli altri paesi dell’area è che qui i meze si accompagnano con la rakia, la grappa locale, di uva ma spesso anche di prugne o albicocche. E vai di superalcolici a stomaco quasi vuoto… Ci si guarda negli occhi e si dice: Nazdrave! Bè, a me piace prendere subito le abitudini del posto. E poi c’è, oltre a quella “industriale”, una rakia speciale fatta in casa da Paolo Giulini… come si fa a dire di no?
Lo spettacolo è un po’ turistico, ma ci divertiamo a vedere i costumi e i vari modelli di sandali, sempre più strani, che indossano i ballerini maschi.
Chiacchieriamo dei motivi per cui è famosa la Bulgaria in Italia, in pratica di quando tiriamo fuori l’aggettivo “bulgaro”. Ci vengono in mente in ordine sparso: la maggioranza bulgara, la pista bulgara (ricordate l’attentato a Giovanni Paolo II?), le voci bulgare care a Elio (vedi Pippero) ma anche a Goran Bregovic e… l’editto bulgaro! Certo, è uno strano mix.
La nostra prima serata a Sofia, però, non finisce qui. Paolo e alcune sue amiche bulgare ci portano in un posto incredibile, che probabilmente non potrebbe esistere in nessun altro paese europeo. Si chiama Hambara e si trova in fondo ad un vicoletto buio, sarebbe davvero introvabile senza una guida locale. È tutto in legno, con le travi a vista e senza luce elettrica, ma illuminato solo da qualche decina di candele. Era una vecchia stalla per i cavalli che trainavano i tram. Divenne poi una stamperia clandestina del Partito Comunista Bulgaro durante la seconda guerra mondiale, quando la Bulgaria era alleata della Germania nazista. In un angolo un vecchio cartello con la scritta “Redaktsia” ne è la testimonianza. Non so se sia davvero di quei tempi, ma di certo fa il suo effetto.
Di estintori o uscite di sicurezza neanche a parlarne, ma il posto è di grande suggestione, tant’è che è strapieno. Troviamo qualche posto, stando stretti, su un soppalco che si raggiunge salendo una scala un po’ traballante. Musica non troppo alta, si chiacchiera tranquillamente e si sta bene, se non fosse che nel locale si fuma anche, così il fumo sale verso l’alto e il soppalco diventa poco vivibile.
Decidiamo allora di continuare la notte in un altro locale, dove il clima è forse meno suggestivo ma più rilassante. Si chiama The Apartment ed è, effettivamente, un appartamento. Un appartamento con diverse stanze, arredate ciascuna con uno stile diverso e piene di mobili e oggetti “etnici” che il proprietario, un bulgaro che ama viaggiare, ha raccolto ai quattro angoli del globo. Entri liberamente e puoi fare praticamente come a casa. Rilassarti sui divani, leggere libri… la musica è puramente di sottofondo, adatta per una dolce decompressione dopo una serata a tutto volume. Insomma, un posto perfetto per il chill out. Poi, solo se ti va, vai in cucina e puoi scegliere tra vari dolcetti sfiziosi, tisane, tè himalaiano, birre trappiste… di tutto.
Torniamo in albergo che le 2 sono passate da un pezzo, il che per essere la prima serata non è male.
20/6/2015
Colazione e poi via con il giro della città. Ci accompagna Olga, una guida molto preparata ma forse troppo seria per un gruppo di scapestrati come noi. Lo si capisce già dal pullman, quando, giustamente dal suo punto di vista, vorrebbe raccontarci per bene la storia della città prima di iniziare a visitarla. Purtroppo, il viaggio dall’albergo al centro è breve e quando raggiungiamo la piazza Aleksander Nevski lei è ancora più o meno al 1400, all’inizio del periodo di dominio ottomano. Con il pullman fermo a motore acceso, lei continua per un po’ imperterrita (è molto bulgara in questo), ma poi la convincono a farci almeno scendere e a continuare il racconto giù dal pullman. Il cambio di programma la innervosisce e l’emozione le fa un po’ tremare la voce, ma riesce più o meno ad arrivare in fondo, anche se nel frattempo l’attenzione è calata drasticamente. In realtà come guida sa abbastanza il fatto suo, certo non si può dire che sprizzi allegria da tutti i pori.
Con lei visitiamo la Chiesa monumentale di S. Aleksander Nevski, costruita alla fine dell’800 e dedicata ad un santo guerriero russo del XIII secolo. Poi l’antica basilica di S. Sofia, più volte distrutta e ricostruita, che ha dato il nome alla città. La chiesa russa di S. Nicola, che noi chiamiamo di Bari ma in realtà si dovrebbe chiamare di Myra, città di cui il santo era vescovo, nell’odierna Turchia. E la chiesa rotonda di S. Giorgio, con affreschi tra il X e il XIV secolo, che era diventata Moschea delle Rose nel periodo ottomano. C’è ancora una moschea funzionante, quella cinquecentesca di Banya Bashi, che sembra portata di peso da Istanbul. Ma c’è anche la grande sinagoga sefardita. Tutto un po’ di corsa, ma abbastanza per capire che il fascino della città sta nelle sue diverse influenze. Del resto, pare che il nome Bulgaria venga dal turco bulgha, che significa mescolanza.
Paolo ci fa notare dei nastri bianchi e rossi legati ai rami degli alberi: ci spiega che vengono messi, in segno di buon augurio, all’inizio della primavera.
Quasi tutti stiamo scoprendo per la prima volta la città, tranne Lucia che ci era già stata da bambina nel 1973 e che cerca di far riaffiorare i ricordi guardando la città com’è ora. In effetti deve essere molto cambiata da allora, ma lei, con l’aiuto di Paolo, riesce a riconoscere nell’odierno Radisson l’hotel Balkan di allora, in puro stile socialismo reale, dove aveva soggiornato con la famiglia.
Uno dei simboli del passaggio dalla Sofia comunista alla Sofia di oggi, ormai capitale europea con i suoi negozi e i suoi fast food, è la mancanza della grande stella rossa alla sommità del palazzo che era la casa del partito. Ora si trova nel museo dell’arte socialista. E poi, come sempre nelle città dell’est, il segno più evidente lasciato nell’architettura dall’era comunista è la successione infinita di casermoni che popolano le periferie. Potrebbero in fondo essere i casermoni di qualsiasi periferia del mondo, ma hanno quel tratto distintivo di essere praticamente un blocco unico di cemento che te li fa riconoscere a prima vista.
Noi ci dirigiamo, dopo il tour guidato, allo Zhenski Pazar, il Mercato delle Donne. I mercati sono sempre un bel modo di immergersi nella realtà di una città, quando non sono troppo “turisticizzati”. E questo non lo è per niente.
All’ingresso, le signore sono catturate dai venditori di lana. Una volta entrati, gironzoliamo tra le bancarelle di frutta e verdura, cercando di riconoscere piante officinali e spezie, in particolare l’aneto, molto usato nei piatti bulgari.
Cerco, intanto, di far pratica con il cirillico locale, che è un po’ diverso dal cirillico serbo con il quale io ho una certa dimestichezza per i miei passati viaggi balcanici, sui quali non vi tedierò. Soprattutto, in certi casi, qui le minuscole sono molto diverse dalle maiuscole e sembrano fatte apposta per confondere il povero occidentale: per esempio, la i minuscola è uguale alla u dell’alfabeto latino; la d minuscola è uguale alla g latina; la t minuscola è uguale alla m latina! Per di più, una volta decifrato il nome sul cartellino, resterebbe da capire il bulgaro, che non è esattamente un’impresa facile. Ma io mi appassiono a queste cose, che ci posso fare? Sono un linguista mancato.
Per il pranzo siamo da Mr. Uli, dove indubbiamente si mangia bene, ma il titolare è un fan accanito di Putin e non lo nasconde. Tra le altre, è in bella mostra una foto del simpatico autocrate ex KGB che parlotta con il nostro caro ex premier che tanto lustro ci ha dato in tutto il mondo.
Si può scegliere tra varie zuppe; io vado sul Tarator, che è una zuppa fredda a base di yogurt e cetrioli, in pratica uno Tzatziki meno denso e senza aglio.
Dopo pranzo la nostra meta è la chiesa di Boyana, che si trova in un sobborgo di Sofia ed è un vero gioiello, patrimonio UNESCO. È del XIII secolo, anche se alcune parti sono state ricostruite dopo un terremoto nell’800. Gli affreschi risalgono al 1259 e sono quasi tutti splendidamente conservati. Si può entrare solo a piccoli gruppi, in religioso silenzio e con una guida locale, che ci fa apprezzare il tutto ancora di più, anche se i pareri su questo all’interno del gruppo sono contrastanti. È un uomo anziano che parla un inglese fin troppo buono per un dichiarato autodidatta come lui, se davvero lo è. Prende il suo lavoro con grande passione, o questo è quello che trasmette. Se finge, è un grande attore. È vero, un certo piglio attoriale c’è, nei cambi di tono, nelle pause studiate, nei gesti che enfatizzano ogni parola. Ma forse è solo talento naturale. Comunque, mi piace pensare che sia così. Di sicuro gli affreschi sono bellissimi e davvero sono visibili le espressioni, le rughe, i sentimenti sui visi dei personaggi. Una curiosità è un’Ultima Cena molto bulgara, con grandi teste di aglio sulla tavola.
La nostra guida enfatizza ripetutamente che l’ignoto maestro di Boyana anticipa l’arte rinascimentale, dato che viene 200 anni prima di Leonardo e 7 anni prima della nascita di Giotto. C’è da capirlo, di quali altre cose del genere un bulgaro potrebbe farsi un vanto, per di più con un gruppo di italiani?
Dopo la chiesa di Boyana, il museo dell’arte socialista, che raccoglie monumenti e dipinti che erano prima collocati in varie zone della città e che sono sopravvissuti al crollo del comunismo. Anche a Budapest hanno fatto un’operazione simile, ma questo museo è meglio organizzato e più interessante. C’è una statua di Lenin gigante, insieme a varie altre più piccole. C’è la famosa stella rossa della Casa del Partito, e anche una sala dove vengono proiettati vecchi film di propaganda.
Per la serata ci hanno organizzato una cena al Veselo Selo (allegro villaggio), un locale situato all’interno di un parco pubblico che ricostruisce un tipico villaggio bulgaro.
Durante la cena, Claudio ci informa che questa mattina aveva espresso un desiderio nella cripta della chiesa russa, dove i fedeli scrivono su dei bigliettini le loro richieste a San Nicola, o direttamente a Dio, chi lo sa. Cos’aveva chiesto lui? Che l’Inter comprasse Kondogbia, praticamente impossibile a suo dire. E poche ore dopo… notizia ufficiale, Kondogbia all’Inter! Roba da convertirsi immediatamente all’ortodossia.
Ma è più il dopo cena che è memorabile. Lo spettacolo organizzato dal locale prevede musica bulgara, ma anche pezzi classici della tradizione rom come Gelam Dade Tudureste o Chaje Shukarije, che pure non sembrano molto apprezzati qui. Ci sono anche balli di chiaro stampo greco, nei quali il nostro compagno di viaggio greco Aristotelis si lancia senza remore e con maestria. A un certo punto, come nei migliori locali dell’est, in nostro onore parte “L’italiano” di Toto Cutugno…
Ma soprattutto, casualmente si trovano qui due gruppi che celebrano un addio al nubilato e un addio al celibato. Gli uomini non fanno altro che bere ed esibire delle magliette nere che riportano davanti la scritta “Groom’s drinking team” e dietro la loro situazione sentimentale (I am NOT married, I am getting married, ecc.). Le donne, invece, sono assolutamente scatenate, soprattutto quella che si presume sia la sposa. Portano tutte delle fasce tipo miss con scritte in cirillico, che non riesco però a decifrare: in genere lo leggo, è vero, ma in genere la scritta dovrebbe avere la compiacenza di stare ferma. Qui invece le scritte si dimenano, e non poco. Per di più l’alcol in circolo non è pochissimo, per cui diventa difficile. Fatto sta che ben presto quelli di noi che si erano alzati per ballare vengono coinvolti e prima Claudio, poi io ci troviamo a dover improvvisare con la sposa una specie di balletto, con lei che cerca di essere più sexy che può, considerato il fisico… Elisa l’ha definita in modo molto appropriato “una rugbista con le movenze di Shakira” ed effettivamente le spalle quadrate le ha. A me ricorda anche un po’ una di quelle pesiste bulgare dell’epoca comunista, quelle pompate di anabolizzanti all’inverosimile. Insomma, ha qualche chilo di troppo, per usare un eufemismo, ma sembrano più muscoli che ciccia… e non è affatto detto che sia meglio, in questo caso. Io poi ci provo, ma non so ballare… bene o male ne esco vivo, che vista la situazione è già molto.
La serata poi continua con una seconda puntata all’Hambara. Stasera c’è meno gente e si può parlare più tranquillamente. Con Adriana, giornalista brasiliana che lavora da Lisbona per la TV brasiliana e per Radio France in portoghese, discutiamo della situazione politica in Ecuador (io sono un sostenitore della revolucion ciudadana di Rafael Correa, che piace anche a lei) e in Venezuela. Ci troviamo d’accordo sul fatto che Nicolas Maduro non sia all’altezza, che stia eccessivamente “santificando” Chavez e che gestire il dopo-Chavez nel paese sia un compito troppo grande per lui. Lei addirittura è dell’idea che abbia già distrutto il Venezuela, io forse sarei meno drastico. Certo che parlare di America Latina con una giornalista brasiliana a Sofia, bevendo una birra a lume di candela al bancone di un locale che era una stamperia clandestina del Partito Comunista Bulgaro… è una di quelle cose che possono succedere solo viaggiando con Radio Popolare.
21/6/2015
Dopo colazione, con calma a dire il vero, anche in considerazione delle conseguenze della notte, si parte in pullman per il monastero di Rila. A Sofia piove e le previsioni per la giornata non promettono nulla di buono.
Il monastero si trova a 1147 m sulle montagne di Rila, 120 km a sud di Sofia, circondato da foreste di conifere. Il viaggio dura un paio d’ore. Yordanka ci racconta che è stata battezzata al monastero di Rila, all’età di 8 anni, e ricorda che piangeva molto di più dei neonati perché i preti le facevano un po’ paura.
Arriviamo al monastero sotto una pioggia insistente, anche se per fortuna non molto intensa. Il monastero è originariamente del X secolo, anche se è stato in gran parte ricostruito dopo un catastrofico incendio nel 1833. Contribuì in maniera determinante alla conservazione della cultura bulgara e della religione ortodossa durante il dominio ottomano, pur subendo diversi saccheggi da parte dei turchi. Dall’esterno si presenta quasi come una fortezza, ma all’interno nasconde architetture davvero spettacolari: archi, colonnati, scalinate e verande in legno riccamente decorate. Nella chiesa quello che colpisce di più è l’iconostasi, con le sue madonne dalle mani argentate e le icone ricche di simbolismi. In particolare, noto i santi Cirillo e Metodio, evangelizzatori e patroni degli Slavi, e sotto di loro gli scudi delle quattro nazioni slave ortodosse dei Balcani: Serbia, Bulgaria, Bosnia, Macedonia. La Bosnia in realtà non si può certo definire una nazione completamente ortodossa, soprattutto ora, ma lo era sicuramente nella visione di chi dipinse l’icona.
Il monastero è dotato anche di un forno, che produce ottime frittelle. Tra l’altro, c’è l’usanza del pane del perdono, cioè la confessione pubblica e di gruppo in cui i penitenti non hanno bisogno di raccontare i loro peccati. Basta che siano lì. Il pope prega, spezza il pane e sono perdonati.
Purtroppo abbiamo poco tempo per la visita del monastero, che ne meriterebbe sicuramente di più. Ma ci aspettano al ristorante per il pranzo, stavolta più leggero ma gustoso. Si parte con una Shopska salata, un’insalata a base di pomodori, cetrioli, peperoni, cipolle e formaggio bianco tipo feta, un piatto che conosco bene perché è tipico anche della Serbia. E poi una buona trota.
Nel frattempo Elisa è stata ribattezzata Sofia (ma in questo caso con l’accento sulla i), per ovvi motivi. Il copyright è di Denis, da me soprannominato “Denis la minaccia” per la sua imprevedibilità, che sta allietando lei e tutto il gruppo con il suo umorismo un po’ surreale a base di domande spiazzanti e citazioni musicali. Bisogna riconoscere che il suo repertorio è vasto e spazia dalla canzone d’autore, ai canti di lotta tratti dall’ampio bagaglio storico-culturale della sinistra, fino alle icone pop degli anni ’60 e ’70.
Dopo pranzo il programma prevede le terme di Sapareva Banya: pare che queste siano le acque termali più calde d’Europa. Ma per chi come me non ha voglia di terme (e si è pure dimenticato il costume), c’è l’alternativa di una passeggiata in montagna fino ad una cascata, con visita poi ad un secondo monastero, un convento di suore stavolta, dedicato alla Vergine Maria, molto più piccolo ma grazioso. Per fortuna nel frattempo ha smesso di piovere.
Tornati a Sofia, andiamo a cena in un ristorante un po’ più “elegante” nel centro della città, sapendo che poi ci aspetta una sorpresa.
Ci portano in un centro culturale con una piccola sala di proiezione. Lì la sorpresa si materializza ed è davvero qualcosa di unico. Ecco davanti a noi Nelly Chervenusheva, una signora di 87 anni che è in qualche modo un pezzo di storia del cinema in Bulgaria, ma ha anche un legame fortissimo col cinema italiano. Lei, per circa 45 anni, ha tradotto dal vivo i film italiani per il pubblico bulgaro dalla sua cabina nel cinema Odeon di Sofia. Il doppiaggio non esisteva in Bulgaria, né tantomeno erano allora in uso i sottotitoli. Ed ecco che Nelly, che ha studiato italiano a Sofia e non ha mai messo piede in Italia fino all’età di 78 anni, entrava in azione. Con lei c’è Tedi Moskov, il regista di un film-documentario girato nel 2006 che racconta la sua storia. Il film lo rivediamo insieme a lei e la vediamo, emozionata come una ragazzina, a colloquio con i suoi miti, Ettore Scola e Mario Monicelli. Poi possiamo farle qualche domanda e sentirla raccontare, con voce flebile ma in un italiano ancora perfetto, di come era riuscita a rendere la supercazzola di Tognazzi in “Amici miei” senza offendere la morale socialista, o di come era riuscita a tradurre l’improbabile italiano medievale dell’Armata Brancaleone. Monicelli stesso, nel film, se lo chiede. O ancora dell’imbarazzo con cui traduceva “Le 120 giornate di Sodoma” di Pasolini, dopo averlo conosciuto per il “Vangelo secondo Matteo”. Spesso faceva proiezioni private per la sola nomenklatura comunista, perché molti film poi non arrivavano al pubblico. Insomma, una storia che veramente valeva la pena di sentir raccontare dalla sua voce. Ci saluta con un po’ di commozione ringraziandoci, quando saremmo noi a dover ringraziare lei, e dicendo tutto il bene possibile dell’Italia, forse perché l’ha conosciuta, di fatto, solo attraverso il cinema.
22/6/2015
Oggi è la giornata dedicata al monte Vitosha, la montagna di Sofia, che si trova appena fuori città (Sofia stessa è situata ad una quota che supera i 500 m). Sappiamo che lì ci aspetta un’altra sorpresa.
La giornata è bella, anche se leggermente fresca. Del resto, abbiamo cambiato programma apposta per fare la montagna oggi, col sole.
Il pullman ci porta fino alla partenza di una seggiovia che risale sicuramente ai tempi del socialismo reale, e non certo gli ultimi anni. Il look è veramente vintage, il che mette un po’ di malumore nella truppa. L’aspetto, devo ammetterlo, non è incoraggiante e di sicuro bisogna salire e scendere in corsa, non rallenta per niente né alla partenza né all’arrivo. Prima di partire l’addetto ci tiene una breve lezione su come chiudere la sbarra con il poggiapiedi, operazione che si rivelerà per alcuni non banale: c’è chi poi mi ha raccontato di aver fatto tutto il tragitto con la sbarra aperta.
Fabiana, alla quale ieri mi è capitato di dare una mano in qualche passaggio poco agevole della camminata in discesa dalla cascata, sembra essersi formata con questo l’erronea convinzione che io sia un uomo che dà sicurezza e quindi mi chiede di salire con lei. L’avverto che in genere le donne non la pensano affatto così, anzi a volte mi mollano per questo, ma non si scoraggia e quindi volentieri vado con lei. In realtà ce la caviamo tranquillamente e anche lei non ha poi tutta questa paura. Ma un po’ tutti alla fine ce la caviamo: qualcuno non scende in maniera proprio elegante, ma problemi seri non ce ne sono.
Si è sparsa però rapidamente la voce che il pullman ci aspetta in cima. Ma allora c’è una strada. E allora, se si poteva salire con il pullman… perché? La domanda serpeggia.
È Claudio a darci la spiegazione, nel suo stile: “Se qualcuno si chiede perché abbiamo preso la seggiovia quando c’era la strada… la risposta è: just for fun”.
Iniziamo a salire su un sentiero che è ancora bagnato per le piogge di ieri. In alcuni punti è ridotto un po’ ad un pantano, tanto che dobbiamo ridurre un po’ il percorso e fermarci prima del pianoro che dovevamo raggiungere. E qui c’è la sorpresa. Scopriamo che la signora che ci aveva accompagnato nella salita, che poteva sembrare una guida alpina bulgara, è in realtà una danovista. Il danovismo è… come definirlo? Una corrente del cristianesimo che predica il rapporto diretto tra l’uomo e Dio, senza alcuna mediazione, senza Chiesa e senza preti. Si arriva a Dio, invece, attraverso la natura. Il nome deriva da quello del fondatore, Petar Danov, che lei chiama “il Maestro” e che visse nella prima metà del ‘900.
Con la mediazione di Yordanka che traduce, la nostra guida spirituale ci illustra le linee fondamentali di un pensiero che, sembra, affonda le sue radici nelle eresie medievali dei Catari e dei Bogomili. Il rapporto con la natura si sviluppa, appunto, attraverso raduni sulle montagne e porta, grosso modo, alla pace interiore e a rifiutare il male in ogni sua forma. Altro elemento importante è una specie di ginnastica-danza rituale, che chiamano panevritmia. I danovisti sono chiamati anche “Fratellanza Bianca”, perché in queste occasioni usano vestirsi tutti di bianco, il colore della purezza. Il nome suona un po’ inquietante, ma non ha nulla a che vedere, in questo caso, col fanatismo razzista. Gli esercizi paneuritmici dovrebbero dare invece la possibilità di canalizzare in modo bilanciato le energie terrestri e quelle celesti, aiutando a trovare l’armonia con noi stessi e con il mondo che ci circonda.
Insomma, va a finire che tocca anche a noi fare qualcuno di questi esercizi, che sono tutti basati su una gestualità che enfatizza il passaggio dal cielo alla terra e viceversa, il rapporto tra la parte superiore del corpo e quella inferiore, il prendere e il dare… qualcosa tra i movimenti dei dervisci, le danze new age e il tai-chi.
Cerchiamo anche, a questo punto, di soddisfare qualche nostra curiosità, ma le risposte a dire il vero sono un po’ vaghe, soprattutto sul tema della reincarnazione: non si capisce se ci credono o no. Forse è un problema di traduzione, si confonde resurrezione con reincarnazione. A un certo punto la nostra amica sembra Corrado Guzzanti nei panni del profeta di Quelo: “Reincarnazione, dici? Giusto… Reincarnazione”. E ti viene da dire: ma scusi, che fa, ripete? Dovrebbe avere delle idee sue, no? Mah, sarà che il mio livello di spiritualità è molto modesto.
Discesi dalla montagna, stavolta col pullman, recuperiamo una tappa che era saltata il primo giorno a causa di un ritardo. Si tratta di un curioso museo all’aperto, in un parco dedicato ai bambini del mondo, dove sono esposte decine di campane. Nel 1979 la figlia del dittatore Zhivkov, che era una sorta di patrona delle arti, chiese a tutti i paesi del mondo di mandare una campana in Bulgaria in segno di pace: qui ci sono quelle campane. È divertente vedere come i diversi paesi hanno risposto. Ce ne sono di piccole e di grandi, di quelle semplici e “classiche” e di quelle decorate e che richiamano uno stile caratteristico del paese. Alcune portano scritto solo il nome del paese, altre portano motti o frasi pacifiste. E alcune sono una testimonianza di paesi che non esistono più. Il monumento, come altri in città, è lasciato purtroppo abbastanza all’abbandono. Molte campane sono state rubate. Ma è un’altra di quelle cose che con un viaggio “normale” sicuramente non vedresti. Pochi anni dopo la Zhivkova, che era un personaggio piuttosto alternativo per la Bulgaria dell’epoca, morì in circostanze poco chiare. Si vocifera da allora che sia stata assassinata.
Del resto, questa è una città dove le circostanze poco chiare erano all’ordine del giorno, a quei tempi. Anche Berlinguer, nell’ottobre del ’73, ebbe qui uno strano incidente d’auto che provocò la morte dell’interprete e il ferimento di due membri del partito bulgaro. Negli anni successivi venne fuori che lui sospettava che fosse stato in realtà un attentato. Di sicuro a Sofia non mise più piede.
Andiamo a mangiare in un posto arredato in maniera originale, con oggetti anni ’70-’80, una serie di ritratti di leader comunisti in stile pop art e… una maschera antigas in bagno!
Il servizio non è molto veloce, così il pranzo si prolunga. Denis la minaccia imperversa scrivendo su un foglietto una serie di giochi di parole basati su variazioni sul tema “viaggi e miraggi”: viaggi e assaggi, viaggi e massaggi, viaggi e vantaggi… qualcosa del genere. Ora non me li ricordo più, ma l’elenco era molto lungo. Ovviamente sono per Elisa, o Sofia, come la chiama lui. Lei, naturalmente, sta al gioco ma, quando inizia a saltarne fuori qualcuno vagamente a doppio senso, risponde da par suo: “Guarda che se continui così diventano viaggi e pestaggi!”
Il pomeriggio, o meglio quello che ne resta, è dedicato a un po’ di shopping. Per quanto mi riguarda, mi interessa soprattutto trovare qualche disco nuovo che in Italia non arriva, quindi mi aggrego al piccolo gruppo guidato da Claudio verso un negozio piccolo ma ben fornito. Ci scappa anche un caffè con vista dall’ultimo piano del Sense Hotel Sofia.
La cena finale, in teoria, è libera. Ma Claudio, su richiesta, ci ha detto dove andrà lui: è un locale in periferia, a Studentski Grad, dove, almeno per stasera, si suona musica rom.
Probabilmente il clima di questo paese ci influenza. Come è già successo più di una volta in questo viaggio, maggioranza bulgara: tutti vogliono venire.
Claudio e Paolo si sono dati da fare per organizzare la serata. E la band, effettivamente, è di qualità. Sciorinano un po’ tutti i grandi classici, e quando attaccano con Bubamara chi l’ha visto non può fare a meno di ricordarsi di “Gatto nero gatto bianco” di Emir Kusturica.
Dopo qualche remora iniziale, parecchia gente (me compreso, ovviamente) si butta a ballare, o come nel mio caso più che altro si agita.
Qualche lamentela sul volume e sul tipo di musica rovina un po’ la serata a Claudio, ma a noi va più che bene.
Alla fine, per stanchezza, quasi tutti decidiamo di tornare in albergo o di concludere la serata in un posto più tranquillo. Organizziamo i taxi per tornare in albergo, ma arrivati lì la voglia di andare a dormire ancora non c’è… e allora, che c’è di meglio che tornare all’”Appartamento”?
Abbiamo qualche difficoltà a ritrovarlo senza guida, anche perché Tripadvisor inspiegabilmente dà un indirizzo chiaramente sbagliato, ma alla fine, tra cellulare e cartina, Lucia ed io riusciamo a portare il piccolo gruppo fin lì.
Ci sistemiamo tutti nella stanza rossa e passiamo un’altra ora in allegria, soprattutto grazie al magnifico duo formato dal solito Denis e da Vittorio, grande intenditore di vini (ma se nasci in Monferrato sei facilitato, in questo senso) e grande navigatore temporaneamente sceso sulla terraferma per viaggiare con Radio Pop. È il suo primo viaggio non via mare dopo molti anni. Tra un viaggio e l’altro è anche un ingegnere che la pensione non sa cosa sia: soprattutto, almeno stasera, lo appassionano i droni. E così tra lui e Denis inizia un duetto sull’argomento che è puro teatro dell’assurdo. Mi piacerebbe raccontarlo, ma francamente è impossibile.
Forse in tutto ciò ha qualche peso l’assenzio, che alcuni di noi approfittano per provare. L’avevo già detto, nella cucina dell’Appartamento c’è veramente di tutto.
23/6/2015
Abbiamo poco tempo, purtroppo, prima della partenza. Alle 11.15 è fissato il ritrovo per partire col pullman in direzione aeroporto. E abbiamo dormito poco.
Ma, ciononostante, io e un gruppetto di coraggiosi abbiamo comunque voglia di vedere il museo delle icone nella cripta di S. Aleksander Nevski. Ne vale la pena, anche se avrebbe certamente meritato più tempo. Mai vista, personalmente, una raccolta di icone così grande e così varia come stile e periodo.
E poi siamo ai saluti. Abbiamo avuto, in fondo, solo un piccolo assaggio di Bulgaria: come dei meze, con molta rakia. Ma credo che per tutti sia stato un viaggio piacevole e pieno di sorprese. O, almeno, per me lo è stato.
All’aeroporto, salutiamo Paolo auspicando che riprenda al più presto Ratka Piratka. Servirà certamente ad alleviare la nostalgia balcanica.
E, saliti sull’aereo, ecco l’ultima sorpresa: il caso ha voluto che Denis e Vittorio siano di nuovo vicini…