Diario fotografico di una due giorni sotto la Lanterna, alla scoperta della città vecchia di Fabrizio De André e di Don Gallo
Certo che dare al diario di un breve viaggio dedicato in gran parte a Fabrizio De André il titolo di una canzone di Paolo Conte cantata da Bruno Lauzi… lo so, è discutibile come scelta. Ma non mi è venuto niente di meglio, scusate.
Grazie per l’organizzazione, come sempre, a Radio Popolare e a Viaggi&Miraggi.
Partiamo da qui: questa è la scalinata sotto la Chiesa del Carmine, da cui la curia genovese decise di cacciare Don Gallo (fingendo di promuoverlo, ma è un grande classico: promoveatur ut amoveatur) nel 1970. Ma la storia la potete leggere voi. Il murale è ricavato da una foto di quei giorni.
E qui siamo nella stessa piazza: questo palazzo è la risposta genovese alla Torre di Pisa (forse non si vede, ma pende!). Una torre pendente stretta e lunga come una piroga, davvero particolarissima.
Avvicinandoci al porto, i segni della Genova operaia e militante si fanno più presenti. E in questo caso sarà un po’ un fatto personale, ma questo striscione mi pareva da documentare.
Il porto antico di Genova è stato riconvertito in maniera devo dire piacevole: sembra un po’ il Port Vell di Barcellona. Questa specie di galeone c’entra poco con lo stile generale, o forse c’entra per dare un tocco un po’ kitsch da parco a tema. In ogni caso, fa scena.
Il museo del mare Galata (ancora un riferimento a Istanbul!) ha una sezione dedicata ad un’interessante mostra permanente sulle migrazioni, di ieri e di oggi, dall’Italia e verso l’Italia. Soprattutto la prima parte, quella che racconta di quando gli italiani, del sud e del nord, erano un popolo di migranti, è consigliatissima per chi ha la memoria storica corta. La ricostruzione degli ambienti delle navi che facevano rotta verso le americhe è efficace già da sola, ma si può arricchire con i contributi di molte “app” multimediali. E si scopre, per esempio, che le truffe ai danni dei migranti non sono certo nate oggi. Migliaia di italiani furono attirati in Brasile facendoli viaggiare gratis e con la promessa di un pezzo di terra tutto per loro, una volta arrivati a destinazione. Un sogno. Peccato che all’arrivo li aspettava un brusco risveglio: il pezzo di terra c’era, sì, ma era nel cuore della foresta amazzonica. E, a parte le ovvie difficoltà nel renderlo coltivabile, gli indios tendevano a prenderla male. Allora ai malcapitati, che non avevano nemmeno i soldi per tornare a casa, non restava che rivolgersi ai grandi latifondisti e finire a fare i braccianti in condizioni di semischiavitù, se possibile peggiori di quelle che avevano lasciato nelle nostre campagne. Non vi ricorda qualcosa?
Piazza Alimonda: Senza farne né un martire né un eroe, ci sembrava giusto fermarci un attimo qui per ricordare un ragazzo che semplicemente non meritava di morire in quel modo.
Cena all’osteria “‘A Lanterna”, gestita dai ragazzi della comunità di Don Gallo. Alla musica ci pensa Antonello, camionista ma anche apprezzato interprete di De André, e non solo. Il repertorio anni ’60-’70 è vasto e poi, credeteci o no, può raccontare di quella volta che ha suonato con Manu Chao.
Il nostro giro nei quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi (sicuramente non ai piani bassi, che il sole non lo vedono proprio mai) poteva iniziare solo da qui: Via del campo, c’è una graziosa…
Questo è il portone, proprio quel portone dove il vecchio professore (che era un professore di Fabrizio, che andava al liceo qui vicino) cercava quella che di notte stabiliva il prezzo alle sue voglie.
E questo è il finale di Via del Campo, che tutti conosciamo, uno dei più belli della canzone d’autore italiana.
Nello spazio 29 Rosso, un emporio-museo che si trova proprio in Via del Campo, è conservata una delle chitarre di Fabrizio.
Ed ecco un’altra citazione, stavolta un po’ più “autogestita” dal popolo della città vecchia: da “Nella mia ora di libertà”, che chiudeva “Storia di un impiegato”.
Questa è la piazza dedicata al Gallo, senza Don, come lo chiamavano tutti. E’ bella, con il verde curato dai trans del quartiere. L’unico elemento che stona è una bandiera della Sampdoria: Se la vedesse lui, che era un ultrà del Genoa…
Un altro abitante della città vecchia ci guarda dalla finestra.
La strana chiesa di San Pietro in Banchi. Costruita nel ‘500 su una chiesa più antica, fu finanziata con i soldi della vendita o dell’affitto delle botteghe poste sotto di essa, che, magari con qualche cambio di gestione, si sono conservate fino ai giorni nostri.
E ci salutiamo qui, davanti alla cattedrale di San Lorenzo, in un assolato mezzogiorno genovese.
Grazie a radiopop! Quando volete possiamo al secondo tempo. Ai 25 quartieri e popolazioni di Genova. Sulle alture e da voltri a nervi…
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Ci pensiamo, perché no? personalmente a Genova ci torno, e ci tornerò, sempre volentieri.
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