1/6/2017 – Settimo giorno: Nel quale, tornando a Bucarest, ci imbattiamo in una fortezza misteriosa

Partiamo da Chilia Veche abbastanza presto. Il viaggio che ci aspetta non è breve. Abbiamo prima di tutto l’ultimo tratto di navigazione che, quasi sempre a tutta velocità, ci riporta a Tulcea. E qui, ripresi i nostri bagagli, ci aspetta Florin per proseguire in pullmino verso Bucarest. Salutiamo Cristian e Ancuța e ci avviamo lungo la strada del ritorno.

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Chiedo in prestito a Eugenio il libro di Jean Bart, Europolis, anzi Sirena nera. Mi incuriosisce non poco e leggerne un po’ di pagine mi sembra un buon modo di ingannare il tempo durante queste ore di viaggio. So già che non riuscirò a finirlo, ma almeno mi farò un’idea. Devo dire che fin dalle prime pagine mi cattura: è ben costruito, i personaggi sono tratteggiati con maestria e soprattutto regala un quadro molto vivido di come doveva essere Sulina tra il suo massimo splendore e l’inizio della sua decadenza.
Sono così preso che quasi senza accorgermene la strada scivola via fino alla prima tappa, che è la fortezza di Enisala.
Siamo nel territorio di Babadag, che in turco significa “la montagna del padre”; il toponimo trarrebbe però origine dal nome del derviscio Baba Sari Saltuk, che nel XIII secolo avrebbe condotto in Dobrugia un gruppo di turcomanni, insediatosi poi nell’area della città attuale.
Storicamente questo luogo è stato un insediamento traco-getico già dal XII al IX secolo a.C. e successivamente dacico fino al III secolo a.C.; divenne in seguito un forte romano, per passare poi sotto i bizantini che costruirono la fortezza di Herakleia (questo era il nome greco dell’insediamento) tra il 645 e il 650. I resti della fortezza come li vediamo oggi sono i ruderi del castello che nel XIII secolo fu ricostruito dai genovesi, che dal Mar Nero avevano individuato i punti strategici per controllare le rotte commerciali che da oriente giungevano in Europa.
I genovesi avevano concretamente raggiunto il controllo della navigazione su questo mare e il monopolio sulle merci che i carovanieri trasportavano. Il castello, conquistato da Mircea cel Batran, voivoda della Muntenia, entra a pieno titolo nella nazione romena dal 1397 al 1418. L’impero turco è il successivo padrone della fortezza, quando, nel 1419-1420, la Dobrugia entra a far parte dell’Impero Otttomano e qui viene posta una guarnigione militare. Col passare dei secoli cambia la morfologia del terreno e già nel XVI secolo le sedimentazioni di sabbia prodotte dal Danubio fanno sì che quello che era stato un importante punto di controllo delle vie di mare resti una fortificazione chiusa tra due laghi.
E fin qui tutto normale – direte voi – dov’è il mistero? Ci avevi promesso una fortezza misteriosa… portate pazienza, il mistero lo sveleremo dopo. Intanto, diciamo che la fortezza è un ottimo posto per una foto di gruppo.

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C’è tempo per un veloce pranzo al sacco, uno sguardo alla moschea di Babadag e si riparte.
Viaggiamo fino a Bucarest tra distese di papaveri. Ad interrompere la monotonia ci pensa Silvana, che a sorpresa ci regala un testo che ha scritto in questi giorni, una storia inventata (ma non troppo) intitolata “una storia vera”, dove si racconta di un tipico tirannello balcanico di nome Bennato che, dopo aver invaso la Serbia, vuole estendere i suoi domini in Romania e sottopone un gruppo di malcapitati a delle terribili prove. Per chi non avesse dimestichezza con il greco, Bennato non è altro che la traduzione di Eugenio… e i malcapitati, naturalmente, siamo noi. Malcapitati anche perché Silvana ha colto ogni nostro più piccolo difetto o mania e la sua ironia intelligente e raffinata ci colpisce, sia pure in punta di fioretto, senza lasciare scampo a nessuno. Non lo riporto qui perché sarebbe comprensibile solo a chi ha fatto parte del gruppo, ma fidatevi: applausi meritatissimi.
Io non sono riuscito a finire Europolis, ma ho preso la decisione di cercare di procurarmelo una volta tornato a casa: non ho la pazienza di Eugenio per rifare il lavoro che ha fatto lui in Sormani, ma si è sparsa la voce che qualcuno lo vende su eBay…
A Bucarest, ci sistemiamo per l’ultima notte all’Hotel Venezia (già un riavvicinamento all’Italia) e, dopo una doccia e un breve riposino, usciamo per la cena.
Prima della cena, che sarà al ristorante The Ark, c’è tempo per una visita al mercato dei fiori, che si trova proprio di fronte. La maggior parte dei fiorai, se non tutti, sono rom. Allora ce ne sono anche che lavorano, fa notare qualcuno. Sì, lavorano, ma è un lavoro che probabilmente chi non li ama considera poco dignitoso… avremo modo di capire ulteriormente che il sentire comune contro di loro è davvero piuttosto forte.
A cena conosciamo Marius, che ci farà da guida domani in un tour della zona della città più caratterizzata da architetture liberty e cubiste, tour che comprenderà anche il quartiere ebraico. Marius ha vissuto per parecchi anni a Milano, dove ha lavorato come artista e come critico d’arte per la rivista Flash Art. A tavola, quindi, si discute soprattutto di arte contemporanea, anche perché Marius, sarà il look da artista, saranno i capelli lunghi leggermente brizzolati raccolti in un codino, riscuote consensi tra il numeroso pubblico femminile (le donne sono in maggioranza nel gruppo).
Il menù prevede come antipasto Balmoş Ciobanesc (polenta al formaggio), poi Gulasch e per dolce Lapte de pasare, una specie di Ile flottante. I piatti sono introdotti dallo chef Mihai Toader, serissimo e molto convinto. Ma, non sappiamo se è un fatto di traduzione o se sono veramente espressioni che usa lui, vengono fuori cose curiose come “sabbia di lardo”, che sarà l’hashtag dell’ultima serata e del giorno successivo.
Ma è anche il compleanno di Silvano, è giusto festeggiare anche lui con una torta e un brindisi. Per lui un compleanno che è foriero di buoni propositi per la sua nuova vita: sta per chiudere la sua società (ma lui spera che qualcuno dei suoi dipendenti voglia rilevarla) e andare in pensione.
Dopo cena ci organizziamo, sempre al ristorante, per l’ultima presentazione, le ultime slide di questo viaggio. Questa volta è il geografo Stefan Constantinescu che ci porta dentro la storia cartografica del Danubio. Sì, perché non ci sono solo le slide, ci sono anche le carte vere, che possiamo aprire e toccare. Sono tutte originali, alcune risalgono al 1800. E ora che conosciamo abbastanza bene la zona, ci appassioniamo nel cercare sulle carte i posti che abbiamo visto, confrontando come sono ora e com’erano allora. Marius, per ora, fornisce un supporto in veste di traduttore.
Stefan ci spiega che nella parte nord del delta i sedimenti avanzano, e quindi il mare si ritira, di circa 10 metri l’anno. Nella parte sud, al contrario, è il mare che avanza, di 20-25 metri l’anno.
E qui arriva il mistero di Enisala: il geografo dice che lo sbocco al mare, in quella zona, è chiuso da duemila anni; ma questo è in contrasto con quello che Eugenio ci ha raccontato oggi, e che è scritto nella mitica dispensa, cioè che fu nel XVI secolo che i sedimenti portati dal Danubio modificarono la morfologia del territorio in maniera tale che la fortezza restasse chiusa tra due laghi. Rileggiamo insieme la dispensa, c’è un conciliabolo, ma Stefan resta della sua idea e afferma deciso che è impossibile. Resteremo col dubbio, in fondo forse è più affascinante così.

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Parlando di cartografi e cartografie, Eugenio non può fare a meno di fare un accenno a una delle sue più recenti ossessioni (è lui stesso a definirla così) e cioè Luigi Ferdinando Marsili. Nato a Bologna nel 1658, Marsili fu esploratore, scienziato, soldato, uomo eclettico e di vastissimi interessi, di grande fama all’estero, meno in Italia. Svolse in Turchia osservazioni sulle correnti del Bosforo e si dedicò allo studio della pianta del caffè, di cui descrisse accuratamente le proprietà. Ma soprattutto il suo lavoro Danubius Pannonico Mysicus, pubblicato ad Amsterdam nel 1726, costituisce un fondamentale trattato sulla dinamica e sulla biologia delle acque del Danubio. Inoltre ebbe una parte rilevante nelle trattative di pace tra l’Impero Austroungarico e l’Impero Ottomano nel 1691 e più tardi in quelle che condussero alla pace di Carlowitz; fu lui fra l’altro a guidare la commissione di demarcazione per conto dell’Impero austriaco per stabilire i confini con l’Impero ottomano. Carlowitz oggi si chiama Sremski Karlovci e si trova in Serbia, l’abbiamo visitata l’anno scorso. Ma questa è un’altra storia…
Salutati Stefan e Marius (lui lo rivedremo domani), dovremmo andare a finire la serata nel famoso locale hipster, ma qualcosa rovina i nostri piani: il locale è pieno, o almeno non lo è ancora ma lo diventerà. A quanto sembra hanno una prenotazione per una festa privata aziendale. Insomma, non c’è posto per noi.
Siamo costretti a ripiegare su una più ordinaria birreria, dove cerchiamo di affogare in una birra Ciuc (Sì, non ci crederete ma c’è una birra romena che si chiama così) le prime tristezze di fine viaggio.

 

(Continua…)