Con Trame Solidali – ViaggieMiraggi
Martedì 31 dicembre 2019
Da ieri sera, non so perché, il condizionatore della mia casetta ha deciso di non funzionare più… o meglio, se lo tengo acceso scatta il salvavita e salta la corrente, non c’è scampo. Ho fatto diversi tentativi ma niente da fare. Mi son dovuto rassegnare a dormire senza, idea che con questo freddo non mi riempiva di gioia… ma alla fine, mettendo una coperta sopra il piumino, non è andata malissimo. Dormire ho dormito.
Però a questo punto meglio lavarsi in fretta e fiondarsi giù al bar della cooperativa a far colazione con un cappuccino caldo e un po’ di pane con le marmellate di Camini.
Questa mattina dobbiamo spostarci a Riace, ma prima vorremmo salutare come si deve Rosario e gli altri ragazzi della cooperativa. Riusciamo a farlo ma un po’ di fretta, non vogliamo disturbarli troppo, ci sono faccende più importanti da sbrigare: sembra che una delle ragazze accolte qui a Camini stia per partorire, bisogna organizzarsi per portarla all’ospedale.
Noi saliamo sul pullmino e percorriamo in pochi minuti i tre chilometri che separano Camini da Riace. Adesso la vediamo con la luce, l’altra sera siamo passati ma era buio e non siamo riusciti a riconoscere nessuno dei posti che abbiamo già visto nei vari documentari che negli anni hanno raccontato di Riace. Tra l’altro, lo ha fatto anche Wim Wenders, non proprio l’ultimo arrivato…

Pubblicità ingannevole
Adesso sì, vediamo i murales più immortalati, soprattutto quello con il cielo azzurro e le nuvole, con i nomi dei paesi di provenienza dei migranti e la scritta “Dove vanno le nuvole?”… e il portale con la scritta “Villaggio Globale”.
I murales in paese sono tanti; ce n’è anche uno che raffigura un asinello e riporta i versi di “Don Chisciotte” di Francesco Guccini.
Il borgo è ancora abbastanza calmo e silenzioso, per cui trascinando tutti insieme i nostri trolley sulle vie acciottolate ci sembra di fare un casino pazzesco… ma una delle poche persone che incontriamo invece lo apprezza: “Che bel rumore!”. Restiamo un po’ sorpresi, ma lui sorride e conferma. Forse vuol dire che è bello che “forestieri” vengano ancora a Riace, dopo tutto quello che è successo… e se lo fanno, è abbastanza chiaro che lo fanno per sostenere Mimmo Lucano e impedire che il “modello Riace” muoia. Si presenta: è il figlio dei proprietari dell’alimentari che sta di fronte alla chiesa Matrice, ma soprattutto è l’ex vicesindaco, era il vice di Mimmo Lucano. Si chiama Giuseppe Gervasi. Be’, che dire? Come accoglienza davvero non c’è male.
Ci sistemiamo in due case: io e Patrizia, con Rossella e Gianni, siamo proprio lì, di fianco al negozio dei Gervasi. Posizione centralissima, quindi. La casa era chiusa da un po’ di tempo, e non ha riscaldamento. Ci sono i condizionatori, ma non sappiamo se possano funzionare come pompa di calore e soprattutto non si trova il telecomando… anche qui la notte sarà fredda, ma non importa. In fondo è la notte di Capodanno, non credo che dormiremo tantissimo.
Usciamo e… sorpresa. Ci siamo dati appuntamento alla chiesa e, mentre aspettiamo che arrivi tutto il gruppo, passa in macchina Mimmo Lucano. Lo fermiamo, scende a salutarci e si presta con pazienza a fare qualche foto di gruppo con noi. È gentile e disponibile, è contento che siamo qui anche per lui, ma ha un sorriso un po’ a metà, come se ci fosse in lui una tristezza di fondo che non riesce a reprimere del tutto. Si intuisce che è provato dalla sua vicenda giudiziaria, è inevitabile che sia così. Mi è capitato di ascoltarlo parlare un paio di volte a Milano dopo l’esplosione del caso, e avevo già avuto questa impressione, pur sentendolo comunque ancora battagliero e deciso a difendere il valore dell’esperienza di Riace, a non lasciare che venga sporcata. Lo ringraziamo e lo lasciamo andare, dandoci appuntamento a questa sera (ma in realtà lo rivedremo molto prima…).

Noi con Mimmo e l’Uomo Carta
Intanto, per noi è il momento di fare un primo giro tra le botteghe artigianali, che anche qui abbondano come a Camini. C’è chi lavora il legno, c’è anche qui la tessitura, con diversi telai e un sacco di splendidi lavori, c’è la ceramica (il Vasaio di Kabul), c’è il vetraio, c’è la magliaia… qui, dato che il progetto di accoglienza dura da parecchi anni in più rispetto a Camini, non sempre chi gestisce il negozio è ancora la persona che lo ha aperto, e a cui magari è rimasto intitolato. Ci sono stati un po’ di passaggi di proprietà o di cambi di gestione, ma le storie dei primi artigiani restano scritte su pannelli esposti dentro o fuori dai negozi, e anche chi ha preso in mano l’attività successivamente, italiano o straniero che sia, le racconta volentieri.
Noi però vogliamo anche farci un vero e proprio giro “turistico” per il borgo, che è bellissimo e ben conservato. E Antonio è qui per questo, per farci da guida. Ci porta alla chiesa del Santo Spirito, che domina il paese dall’alto.
Questa chiesa era ad uso privato della famiglia Alvaro, una delle famiglie più in vista del paese. Gli Alvaro non erano nobili, ma esponenti della ricca borghesia terriera. Nel 1983 un incendio, di quelli per “autocombustione” tipici del sud Italia, devastò gran parte del paese e anche questa chiesa. Allora il paese, rispetto ad oggi, era ancora caratterizzato da molte case con gli infissi in legno, così l’incendio si insinuò nel borgo e arrivò a bruciare Palazzo Alvaro, il palazzo adiacente alla chiesa e risalente al XII secolo. Qui si trovava all’epoca un serbatoio di GPL che, esplodendo, danneggiò gravemente il palazzo e incendiò anche la chiesa. Non ci furono vittime ma fu un vero disastro. Dopo di allora gli eredi non hanno mai potuto o voluto accollarsi le spese del restauro.
Da quassù si vede la fattoria didattica, ancora sotto sequestro, dove è rimasto un solo asinello, o almeno noi ne vediamo soltanto uno, e l’immagine sembra tristemente emblematica. Gli asinelli di Riace erano incaricati della raccolta dei rifiuti porta a porta, incarico attribuito secondo la Procura di Locri senza gara d’appalto: è uno dei capi d’imputazione di cui Mimmo Lucano deve rispondere nel processo in corso.

Davanti alle porte di Asia, Europa e Africa, opera della Casa della Poetessa
Andiamo a pranzo al bar di Alessio, che è un altro personaggio di Riace, se non altro perché il suo bar compare nella fiction che è stata bloccata dalla dirigenza Rai di ispirazione gialloverde e non è mai più andata in onda. Alcune scene sono state girate lì, con un attore che lo interpreta, mentre lui ha fatto solo una comparsata. Anche la sua storia è piuttosto emblematica. Come tanti giovani di Riace, anni fa se ne era andato a lavorare al nord (nel suo caso a Torino) ed è tornato solo perché Mimmo Lucano lo ha convinto che con l’apertura all’accoglienza il paese stava rinascendo e che potevano esserci nuove opportunità di lavoro anche per lui.
Pranzo come sempre abbondante e poi, come digestivo, un goccetto di Kaciuto, amaro tipico della Calabria greca che unisce il sapore del bergamotto, un agrume che qui ha il suo regno, con quelli dell’alloro, della liquirizia e del finocchietto selvatico.
A pranzo con noi c’è John Mpaliza, un attivista congolese che si è messo in testa di sensibilizzare opinione pubblica e istituzioni internazionali perché si metta fine alle violenze in Congo collegate all’estrazione del coltan. Da una decina d’anni si è messo in marcia, passa di città in città incontrando cittadini e studenti a cui spiega i nessi locali e internazionali della guerra nel suo paese da cui è fuggito nel 1991 dopo essere stato arrestato dall’allora regime del presidente Mobutu.
Dopo pranzo, mentre stiamo ancora chiacchierando e ci stiamo godendo un po’ di sole (finalmente!) nella piazza davanti al bar, riappare l’ex sindaco, in jeans e maglioncino nero (tra l’altro ci chiediamo come faccia ad andare in giro così mentre noi siamo tutti intabarrati per il freddo, ma forse ormai è davvero temprato a tutto… o forse è il fuoco che ha dentro). È venuto a prendersi un caffè, potrebbe anche aver voglia di starsene un po’ in santa pace ma noi siamo lì al bar e allora… come facciamo a non approfittare dell’occasione? Gli facciamo qualche domanda, gli spieghiamo un po’ il senso del nostro viaggio, quello che abbiamo già visto a Camini (e che ci è molto piaciuto)… anche lui adesso ha più voglia di parlare rispetto a questa mattina, ma preferisce farlo in un ambiente più “protetto”. Ci dà appuntamento una mezz’oretta dopo alla Taverna di Donna Rosa, che è uno storico luogo di incontro della comunità (tra l’altro, come altri progetti collegati all’accoglienza, ha bisogno di un aiuto per sopravvivere, ma ne parleremo più avanti).
Lo troviamo seduto a uno dei tavoli della taverna, sembra già più rilassato. Ci fa accomodare, mentre entra un ragazzo che porta due grandi vassoi di dolci. I petrali, che ormai abbiamo imparato a conoscere, e altre delizie locali. L’ospitalità calabrese, e quella di questi paesi in particolare, ci piace sempre di più. Del resto Filippo, un giovane maestro elementare di origine reggina che abbiamo conosciuto in aereo, ce lo aveva detto: “Se andate a Riace e siete con qualcuno del posto, vedrete che non dovrete mai uscire il portafoglio”. Ha avuto ragione…
Comincia a parlare Mimmo, ed è un fiume in piena. La prende da lontano, da quel lontano giorno in cui per caso approdò a Riace una barca di profughi curdi… la storia io un po’ la so, e immagino che almeno a grandi linee la sappia un po’ tutto il gruppo, ma nessuno ha il coraggio di interromperlo, ci mancherebbe altro. È un segno di generosità da parte sua, vuol dire che ha deciso di dedicarci un bel po’ di tempo, e non era così scontato. E poi è bello sentirla raccontare da lui.
Penso che più o meno la sappiate anche voi, comunque succede appunto che nell’estate del 1998 una barca a vela con a bordo profughi del Kurdistan approda sulla spiaggia di Riace Marina. È per questo che l’associazione che sta cercando di raccogliere fondi per non far morire i progetti di Riace si chiama “È stato il vento”, perché in fin dei conti tutto è nato proprio così, dal vento che spinse qui quella barca.
Le case abbandonate dagli emigranti si aprono all’accoglienza, nasce Città Futura. Si crea un sistema per l’ospitalità diffusa, il recupero e la valorizzazione degli antichi mestieri artigiani.
Negli anni sono state messe in atto diverse iniziative per rendere Riace un punto di riferimento e di contaminazione culturale: Fiere della ginestra, festival del cinema con la partecipazione di figure internazionali come Wim Wenders, creazione di murales contro le mafie, work camp per il recupero della qualità urbana del borgo. Contestualmente è stata realizzata una fattoria didattica gestita da una cooperativa sociale, che ospita gli asini autoctoni con i quali si era cominciata la raccolta dei rifiuti porta a porta, ed è stato fatto il terrazzamento delle pendici circostanti il paese, per migliorare la qualità ambientale.
Un frantoio oleario, diverse case per il “turismo dell’accoglienza”, laboratori dell’artigianato etnico, l’ambulatorio medico “Gimuel”. Tutto ciò è stato possibile anche grazie all’utilizzo dei fondi dell’accoglienza SPRAR, ma non appartiene a nessuna dimensione privata o esclusiva. Sono beni materiali ed immateriali sociali e pubblici, indispensabili per l’integrazione dei rifugiati e dei giovani disoccupati del luogo.
Nella nuova età dei muri, dei fili spinati, dei lager libici, della fortezza Europa, accogliere persone in fuga dalle guerre, dall’odio, dalla miseria è stata l’opera pubblica più importante che è stata realizzata a Riace, un luogo periferico dell’estremo sud che ha trasmesso un messaggio di umanità al mondo.
Questo per sommi capi, ma se volete una storia più completa non è difficile, si trova ovunque.
Oggi a Riace, dopo la bufera, è tutto come sospeso. Dei beneficiari dei progetti d’accoglienza sono rimaste solo 40 persone circa; tutti gli altri, per una ragione o per l’altra, se ne sono dovuti andare e ora si trovano probabilmente nei CAS, quindi in qualche grosso centro d’accoglienza sovraffollato, oppure a raccogliere le arance in condizioni di semischiavitù. Giudicate voi se questo ha un senso.
La voce di Mimmo tradisce ancora un po’ di sofferenza, a tratti si incrina, poi ritorna forte e decisa, mentre racconta sé stesso e il suo sogno, i suoi errori e i suoi dubbi. Dicono che non sia un grande oratore, e forse è vero, almeno non nel senso classico. Però parla sempre col cuore, il cuore prima di tutto, e così facendo riesce a toccare anche i cuori di chi lo ascolta. Nella sua voce si sente la fatica e la delusione, ma anche la tenacia e l’amore per la politica. La politica ma quella vera, che per lui è quello che dovrebbe sempre essere, mettersi al servizio del bene comune, per la sua gente e per chi arriva qui e ha bisogno di aiuto. Per questo rivendica il valore politico della solidarietà e dell’accoglienza. Se più politici la vedessero come lui, forse la parola “politica” non sarebbe diventata una parolaccia nel senso comune ma avrebbe mantenuto il suo senso vero, e l’antipolitica non sarebbe mai nata.
Ci tiene a dire che rifarebbe tutto, anche quello che gli viene addebitato dall’ultima accusa per la quale è indagato da pochi giorni, quella di aver rilasciato la carta d’identità a una mamma e al suo bambino di quattro mesi, che non ne avrebbero avuto diritto. Lui non solo rivendica di averlo fatto perché il bambino aveva bisogno di cure, ma sostiene anche che come sindaco poteva farlo, perché erano richiedenti asilo e per questo protetti dalla legge allora vigente. Ho fatto la stessa cosa con Becky Moses – dice – Perché non mi contestano anche quello? (Becky dovette poi lasciare Riace a seguito del diniego alla sua richiesta d’asilo e morì in un incendio nella baraccopoli di San Ferdinando, ndr). Saranno i giudici a decidere.
Ricorda l’ispirazione che, all’inizio del percorso, gli venne dall’allora vescovo di Locri Monsignor Bregantini, che ha sempre portato avanti nella Chiesa l’impegno sociale e contro la ‘ndrangheta.
Difficile invece, per lui e per noi, capire il senso cristiano (e anche del bene della comunità) della nuova amministrazione comunale di Riace, che venera i santi medici ma chiude l’ambulatorio medico, che ovviamente curava migranti e riacesi.
L’attuale sindaco Antonio Trifoli, che aveva promesso un’amministrazione votata a trasparenza e legalità, alle elezioni non avrebbe potuto neanche partecipare. Il Tribunale di Locri ha deciso nel novembre scorso che non era eleggibile e dunque deve essere dichiarato decaduto. Come dipendente a tempo determinato del Comune non aveva diritto ad accedere all’aspettativa non retribuita per motivi elettorali. In più, da vigile urbano non poteva candidarsi nel Comune in cui ha svolto le proprie mansioni.
Nonostante avesse firmato un contratto con l’amministrazione di Riace, tanto in pubblico come in giudizio il sindaco ha sempre tentato di far valere la propria condizione di ex LSU-LPU, dunque di lavoratore in carico alla Regione. Teorie che non hanno convinto i giudici, per i quali era in tutto e per tutto un dipendente a tempo determinato del Comune di Riace e per questo ineleggibile.
Non si tratta purtroppo di un’ordinanza immediatamente esecutiva, la sua efficacia rimane sospesa fino alla celebrazione dell’appello. Ma si spera che l’iter giudiziario si concluda al più presto. A quel punto Lucano potrebbe anche ricandidarsi, ma al momento non ha ancora deciso se lo farà. Per ora l’amarezza è ancora forte, sia per la vicenda giudiziaria sia per l’esito delle ultime elezioni comunali, anche se qui nel borgo la lista vicina a lui ha vinto; determinante per la vittoria di Trifoli è stato il voto della Marina, dove vivono circa i due terzi della popolazione, che ha voltato le spalle all’ex sindaco, forse anche perché lo considerava ormai caduto in disgrazia. Ma speriamo che ora anche lì qualcuno cominci a capire.
Non saprebbe nemmeno per chi votare alla Regione, se non ci fosse una candidata consigliera a cui si sente molto vicino.
Mimmo sembra invece molto entusiasta delle sardine, che il 6 gennaio saranno qui a Riace per un altro flash mob, e anche noi speriamo in loro, nel panorama desolante di oggi è praticamente l’unico squarcio di luce.
Non dirò altro qui, perché l’incontro che abbiamo avuto con Mimmo era in qualche modo “privato” e anche perché c’è un processo in corso, quindi di alcuni aspetti – come si dice in questi casi – è meglio che si discuta nelle sedi opportune.
A proposito, se volete seguire il processo vi raccomando di non perdere gli aggiornamenti che puntualmente la mia amica Giovanna Procacci, sociologa e anche lei più volte viaggiatrice con ViaggieMiraggi e Radio Popolare, pubblica sulla rivista on-line Preessenza. Questo è l’ultimo, ma da qui potete recuperare anche tutti i precedenti:
Da quello che si è capito finora la tesi dell’accusa resta quella di fondi pubblici destinati all’accoglienza che sono stati utilizzati per “soggetti diversi”: nuovi migranti o persone che sono arrivate da tempo e hanno trovato nelle attività organizzate a Riace una ragione per rimanervi. E a sua volta la difesa sembra giocare la stessa carta: non si è chiusa la porta a nessuno e si sono usati i soldi non solo per accogliere (emergenza) ma anche per integrare, con operazioni a beneficio dell’intera comunità riacese, italiana e non. Attenzione: non c’è stato dolo, il sindaco non si è intascato quattrini, ma resta il fatto che finiscono sotto esame le irregolarità amministrative commesse dalla precedente giunta.
Dato che sembra già chiaro che Lucano non ne ha ricavato nessun tornaconto economico, l’accusa punterebbe a dimostrare che lo ha fatto per un tornaconto “politico” in termini di voti. Ma anche qui, risulta difficile capire quale sarebbe: essendo all’epoca dei fatti al terzo mandato, non poteva più ricandidarsi a sindaco, né si è mai candidato ad altre elezioni, nazionali o europee. Inoltre, sta emergendo che molte delle irregolarità che oggi vengono contestate, in particolare per quanto riguarda il numero di migranti accolti e i tempi di permanenza, erano di fatto “sollecitate” dalla Prefettura di Reggio Calabria, che sfruttava Riace per gestire le emergenze. Sembra che in prefettura l’allora sindaco fosse soprannominato “San Lucano”.
«Improvvisamente, con questo processo, la diversità di Riace e dell’integrazione che vi si persegue viene presentata come un reato» – si legge negli articoli di Pressenza – «Prendiamo l’esempio del frantoio sociale, che era stato messo sotto sequestro; grazie alla Fondazione “È stato il vento” che ne ha assunto i costi di attivazione, è entrato in funzione e sta producendo l’olio extravergine biologico. Una ventina di persone lavorano alla raccolta delle olive, con contratti regolari come ormai non succede più neanche in Toscana. E l’olio che vi si produce produrrà reddito e quindi altre opportunità. Il frantoio sociale finalmente all’opera è la dimostrazione concreta dell’integrazione secondo il modello Riace. Ci aiuta a vedere meglio che, se un interesse politico ha animato l’esperienza Riace, è stato l’idea di costruire un mondo, una comunità solidale dove i rifugiati non sono ospiti, ma lavorano insieme ai riacesi per costruire un futuro migliore per tutti».
Comunque è passata un’ora, un’ora e mezza, forse due, non lo so. Io non ho guardato mai l’orologio, e credo che nessuno di noi lo abbia fatto. Mimmo parlerebbe ancora, ma abbiamo approfittato fin troppo della sua generosità.
Ci spostiamo alla Casa della Poetessa, dove incontriamo di nuovo Enzo Correnti, per noi ormai l’Uomo Carta, e anche Daniela Maggiulli, che ci mostra gli elementi artistici aggiunti più di recente: un mural che raffigura Carola Rackete e la decorazione “poetica” di una scala con la relativa porta. Si stanno preparando per stasera, anche loro faranno una festa ma noi siamo già prenotati per fare il cenone con Mimmo Lucano e i suoi amici alla Taverna di Donna Rosa.

Un nuovo mural dedicato a Carola
Dopo qualche altro giretto, decidiamo infatti di andare a riposarci e a prepararci anche noi, anche perché con il buio è tornato un freddo micidiale.
Il cenone, e non poteva essere altrimenti, inizia con cori dedicati a Mimmo, che si alza e saluta: sembra contento dell’affetto ma anche un pochino imbarazzato. Al piano di sotto della taverna c’è una festa tutta africana, nigeriana soprattutto, mentre noi al piano terra abbiamo un cenone che getta un ponte tra Calabria e Africa, un cenone “calafricano” insomma, come è giusto che sia, che unisce la soppressata al cous cous e allo zighinì (piatto di carne eritreo-etiope), servito come da manuale con il tipico injera (pane spugnoso di farina di teff). Niente cotechino o zampone, ma non possono comunque mancare le lenticchie, perché si sa, per tradizione portano soldi e, se noi ne possiamo avere bisogno fino a un certo punto, sicuramente Riace ne ha e ne avrà molto bisogno, per tenere in piedi i suoi progetti senza i fondi pubblici dello SPRAR.

Zighinì e injera
Tra una portata e l’altra, ci possiamo dilettare ascoltando due ragazzi che con fisarmonica e tamburello suonano le tradizionali tarantelle calabresi.
Ma abbiamo anche tre amici francesi direttamente da Marsiglia (uno di loro è il compagno di Serena Tallarico, l’antropologa che lavora con le ragazze del laboratorio di tessitura di Camini) che cantano canzoni in provenzale accompagnandosi con uno strano strumento che scopriamo essere la lira calabrese: anche qui l’accostamento sembra curioso, ma siamo in un clima di incontro di culture e va bene tutto. Ci spiegano anche in sintesi i contenuti delle canzoni, con Serena che traduce. Sono bravi, quindi raccolgono giustamente consensi e applausi.
Il brindisi di mezzanotte non è particolarmente organizzato: non abbiamo altro che orologi e cellulari per capire che l’anno nuovo sta arrivando, ma nessuno è in grado di scandire i secondi… e così ce ne accorgiamo solo perché parte una salva di botti, invero modesta: se vi aspettate che essendo in Calabria siano partiti mortaretti, bombe carta e tricche-tracche sappiate che a Milano dove abito io, quartiere Chiesa Rossa, a Capodanno si spara molto di più.
Dopo la mezzanotte usciamo in strada e per un bel po’ rimaniamo lì, fuori dalla taverna, con la gente che si è radunata. Si chiacchiera, si beve e si balla: balli di gruppo, totalmente improvvisati. I classici balli in cerchio che fanno parte delle tradizioni popolari di tanti posti d’Europa e del mondo e che si fanno quando si vuole divertirsi insieme (e in questo caso anche scaldarsi un po’) ma pochi sanno davvero ballare (io non sono certamente tra questi).
In questo clima, a un certo punto si forma un capannello intorno a una ragazza bionda che, seduta sugli scalini della taverna, parla prima tranquilla e poi animatamente raccontando quello che le è capitato non molti giorni fa.
Si chiama Chiara Scolastica Mosciatti, è di Camerino ma dal 2013 vive in Olanda. È un’artista e curatrice laureata in Filologia e specializzata in Storia. Come artista e curatrice è arrivata a Riace nell’aprile del 2019 con un progetto della durata di un anno che ha sollevato l’interesse ufficiale prima della vecchia amministrazione e poi (almeno apparentemente) di quella nuova. Lo scopo finale del progetto è l’installazione su suolo pubblico riacese di un grande gruppo scultoreo in bronzo prodotto da Nelson Carrilho.
Ma le cose, con la nuova amministrazione e non solo, si sono fatte più difficili dopo l’episodio di cui è stata protagonista il 12 dicembre a Reggio Calabria, durante un comizio di Salvini. Praticamente – ci racconta – dopo averne sentite già tante, quando Salvini invitava a votare Lega per salvare la Calabria perché la Lega in Calabria non ha mai governato, lei non si è tenuta più e ha semplicemente detto qualcosa come “E certo che non ha mai governato, fino a ieri volevate buttare a mare la Calabria con tutto il Sud!”. Per questo è stata ovviamente ricoperta di insulti, di vario tenore ma che, avendo lei l’aggravante di essere donna e giovane, non si limitavano a “comunista” ma comprendevano varie altre piacevolezze tra cui “cessa”, “vai a farti una pera” e “cocainomane” (molto insistito, non si sa bene il perché ma probabilmente è inutile cercarlo). Forse vi è capitato di vedere il video, che ha girato abbastanza sul web. Se no cercatelo, è istruttivo. Alla fine è stata scortata dalle forze dell’ordine fuori dalla sala in quanto evidentemente non più “gradita” in quel contesto, dopo di che il diluvio di insulti è continuato sui social nei giorni successivi. Ora Chiara ha deciso di affidarsi a Cathy La Torre, l’avvocato-attivista che insieme a Michela Murgia e ad altri sta portando avanti la campagna “Odiare ti costa”, volta a costringere chi è responsabile di discorsi di odio in rete a risarcire le vittime. Speriamo bene, anche per il prosieguo del suo progetto a Riace, visto che stando a quanto dice Chiara ormai il supporto da parte dell’amministrazione comunale, che già si era visto ben poco prima di questo episodio, è ridotto praticamente a zero.
Poi ci spostiamo al bar con l’idea di andare a bere qualcos’altro lì, ma scopriamo che nella piazza antistante è stato acceso un falò improvvisato, intorno al quale si è radunato un gruppo di persone. Ci sono due ragazzi, se ho capito bene uno di Benevento e uno di Napoli, che hanno una chitarra e che intrattengono il gruppo suonando e cantando. Ci sono anche i nostri amici francesi, ma loro hanno già dato e quindi stanno un po’ in disparte, parlottano e osservano divertiti. Uno dei primi pezzi, per rompere il ghiaccio (e qui la metafora è pertinente, non certo per il clima… umano ma per quello atmosferico sì), è Bella Ciao, che in questi casi funziona sempre.
Il repertorio dei ragazzi è piuttosto vario, anche se non sempre sanno i testi e gli accordi, per cui si ricorre ai cellulari leggendoli in condizioni un po’ precarie, per di più con le mani che gelano dal freddo, o a volte si… inventa, ma proprio per questo forse diventa tutto più divertente. A un certo punto mi ci metto pure io a cercare di dare una mano, ma i risultati non migliorano certo per questo. Comunque si spazia da De Andrè a Manu Chao, da De Gregori ai 99 Posse, da Guccini a Rino Gaetano e da Pino Daniele a un paio di grandi classici napoletani.
E ovviamente non può mancare L’anno che verrà di Lucio Dalla. L’esecuzione è così così (eufemismo) ma l’intenzione c’è, vorremmo tutti che l’anno nuovo ci portasse una trasformazione, magari non necessariamente che fosse tre volte Natale e festa tutto il giorno, ma almeno che l’accoglienza e la solidarietà non fossero più considerati reati. Sarà difficile, ma se siamo qui vuol dire che quello che possiamo fare, poco o tanto che sia, lo faremo.
Mercoledì 1 gennaio 2020
Io personalmente ho cantato (magari male, ma ho cantato) fino alle tre e un quarto – tre e mezza, e questa mattina la mia voce ne risente. Forse sarà stata anche la stanza fredda, ma devo dire che nonostante tutto, ben raggomitolato nel piumone, bene o male sono riuscito a dormire un po’.

Il municipio di Riace
Facendo colazione al bar, Alessio ci racconta che l’ultimo gruppetto di irriducibili intorno al fuoco ha tirato le sette e mezza, evento eccezionale da queste parti. E così anche lui ha fatto nottata, è andato a casa solo per una doccia veloce ma per il resto è qui sul pezzo da ieri mattina. Adesso la stanchezza comincia a farsi sentire.
Noi passiamo un po’ di tempo in relax seduti davanti al bar, godendoci il tepore del sole che finalmente si fa sentire un po’. Si arriva alla spicciolata, c’è chi si è svegliato presto e chi ha deciso di concedersi ancora un po’ di sonno.
Poi viene il momento di partire, questo breve soggiorno calabrese volge al termine. Salutiamo Alessio e partiamo col pullmino per un’ultima tappa a Riace Marina, ci sembra giusto salutarci così, facendo una passeggiata sulla spiaggia. L’acqua è fredda ma è talmente bello che c’è chi si fa coraggio, si toglie le scarpe e va a bagnarsi almeno i piedi.
Ci salutiamo qui perché poi si va a Reggio Calabria e da lì, chi in aereo chi in treno, ognuno a casa propria, tranne tre fortunati che faranno ancora un paio di giorni in Calabria con Rossella e Gianni.
E qui, a Riace Marina, davanti alle acque dello Ionio che hanno portato qui prima i bronzi e poi la barca dei curdi da cui tutto è iniziato, e davanti all’ultimo cartello rimasto dove Riace è ancora il paese dell’accoglienza, finisce il viaggio e simbolicamente si chiude il cerchio.
Direi che anche il fatto che la parola PEACE sia strappata è rappresentativo del momento che vive Riace. Riace è un sogno spezzato, che come tutti i sogni davvero belli e puri confina con l’utopia. E l’utopia, qualunque cosa succeda, non muore. L’utopia, diceva Eduardo Galeano, è come l’orizzonte. Ti avvicini di un passo, e si allontana di un passo. Ti avvicini di due passi, e si allontana di due passi. Ti avvicini di dieci passi, e si allontana di dieci passi. E allora, ti chiedi, a cosa serve? Serve proprio a questo, a continuare a camminare. Riace è questo, per me.
Tante persone con grandi valori, che vogliono continuare il cammino, stanno lavorando per ricucire quello strappo, e noi speriamo di avere dato il nostro piccolissimo contributo.
Così pensavo di chiudere, ma poi, il giorno dopo…
Epilogo – giovedì 2 gennaio 2020
Il giorno dopo succede questo.
Che vi dicevo ieri? Tante persone con grandi valori stanno lavorando per ricucire lo strappo e rimettere insieme i pezzi del sogno spezzato di Riace. Ebbene, oggi mi arriva questo aggiornamento: sull’ultimo cartello rimasto in cui Riace è il paese dell’accoglienza, la parola PEACE è tornata visibile. Ci hanno pensato Rossella e Gianni di Trame Solidali con Maria, Angela e Pino, i viaggiatori che hanno deciso di fermarsi ancora un po’ con loro. ❤😍
Che dire? Certo, non è così facile, sarebbe troppo bello se lo fosse. Ma i simboli sono importanti, e questo è un piccolo gesto che per me vale tanto. Perciò li ringrazio di cuore per aver voluto raccogliere questo mio piccolo spunto. Rossella e Gianni sono due esempi delle persone di valore di cui parlavo, e come loro ne ho visti così tanti in questi pochi giorni che non posso che essere ottimista. Loro sono la vera Calabria. 🤩
Peace and love for everyone 🌈🤟
Buon anno a tutte e tutti. Il mio augurio è che al Capodanno solidale possa seguire un anno solidale. Le premesse non sono delle migliori, ma proviamoci tutti.
Se intanto volete aiutare i progetti di Riace a sopravvivere, potete farlo qui:
https://www.gofundme.com/f/riace-riparte-sostieni-lambulatorio
Un enorme grazie va prima di tutto a Rossella e Gianni di Trame Solidali-ViaggieMiraggi, che ci hanno accompagnato come meglio non si poteva in questo intensissimo Capodanno.
Grazie (in ordine di apparizione) a Rosario, Giusy, Cosmano, Veronica, Maria Stella, Celestino, Caterina, Giuliano, Serena, Milena, Franco e tutta la Eurocoop Jungi Mundu di Camini.
Grazie al Comune di Camini, nella persona del sindaco Pino Alfarano.
Grazie all’associazione Città Futura di Riace e, per finire, grazie infinite e tutto il mio (e nostro) sostegno a Mimmo Lucano.
E grazie a tutte le compagne e tutti i compagni di viaggio.
un servizio stupendo che ho apprezzato molto. Grazie per le belle foto e per le parole!
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