Quattro giorni a Palermo con Radio Popolare e Viaggiemiraggi
Giovedì 22 ottobre 2020
Cinisi. Essere a Cinisi per me è un’emozione grande, tanto che dubito di riuscire a spiegarla a parole, o quanto meno di riuscire a renderla in un modo decente. Ma ci proverò, comunque. Cinisi, alle porte di Palermo, è il paese di Peppino Impastato, una figura di cui condivido le idee e di cui ho sempre ammirato infinitamente il coraggio con cui le ha portate avanti. In questa terra dove con la mafia non si scherza, lui invece l’ha sbeffeggiata, l’ha ridicolizzata, l’ha combattuta nel solo modo che gli era possibile; un modo che però, evidentemente, ben lungi dall’essere indolore per i boss, a un certo punto diventò per loro talmente intollerabile da decidere che quella voce libera, sfrontata e irriverente doveva essere fatta tacere. Peppino ha pagato con la vita la sua voglia di ribellione, la sua ansia di sfuggire al destino che lo voleva non solo nato a Cinisi, ma anche figlio di un mafioso. Ma le sue idee camminano ancora, e oggi è un riferimento di enorme importanza non solo per me, è un esempio per tanti ragazzi nati molti anni dopo la sua morte. Lo è sicuramente per tutti noi che siamo qui, e che tra poco ripercorreremo quei cento passi resi famosi dal film di Marco Tullio Giordana del 2000, i cento passi che separano la casa di Peppino da quella del boss Gaetano Badalamenti.
Piccolo passo indietro, prima di fare cento passi avanti: perché siamo qui? Siamo qui per un nuovo viaggio organizzato da Radio Popolare e da Viaggiemiraggi, uno di quei piccoli viaggetti, a corto raggio (ma in questo caso, in fondo, neanche tanto corto…) con cui stiamo provando a ricominciare a viaggiare, o meglio ci stavamo provando… perché, inutile negarlo, questo weekend lungo rischia di essere l’ultimo “break” che possiamo concederci prima di un nuovo periodo di chiusure, restrizioni sempre più pesanti, coprifuoco (che in Lombardia è già vigente, qui ancora no ma è alle viste), autocertificazioni e DPCM. Tutto giusto, eh? Non è negazionismo. È solo una constatazione. E infatti la seconda ondata pandemica ha segnato questo viaggio fin da prima della partenza. Claudio Agostoni, che doveva essere qui con noi a rappresentare Radio Popolare e in particolare la sua anima più… Onde Road (non ho sbagliato a scriverlo, è il titolo di uno dei vari programmi che Claudio conduce), ha dovuto rinunciare all’ultimo minuto proprio a causa del maledetto coronavirus. Si è autoimposto (giustamente, direi) una quarantena pressoché totale in attesa del risultato del tampone di un collega della radio con cui lavora a stretto contatto. Ma al suo posto c’è la mia amica Simona Barranca, di Viaggiemiraggi (ma lei è anche responsabile comunicazione del COE e del Festival del Cinema Africano, d’Asia e d’America Latina), che di certo non lo farà rimpiangere. Sul piano estetico sicuramente ci guadagniamo (non me ne voglia Claudio), ma sotto tutti i punti di vista Simona è una garanzia. È stata tirata dentro all’ultimo ma non ho dubbi che ci accompagnerà e supporterà come meglio non si può. Il gruppo è composto da 18 persone più lei, da diverse zone della Lombardia: Milano, ma anche Bergamo, Brescia, Pavia, Voghera… varie, insomma. Siamo sbarcati poco fa all’aeroporto di Punta Raisi, con almeno tre voli diversi, e siamo venuti direttamente qui: Cinisi, del resto, è veramente vicinissima all’aeroporto, che ne ha segnato la storia recente. Una delle più celebri e dure battaglie di Peppino Impastato, negli anni ’70, fu proprio quella contro la terza pista dell’aeroporto.
Il pomeriggio palermitano (anzi, Cinisense) è mite, soprattutto rispetto alle temperature dalle quali veniamo. Il sole che qui ci scalda a Milano ce lo sogniamo, la minima di qui è praticamente la nostra massima. Ma più di tutto ci scalda essere qui, sul corso di Cinisi, che a chi ricorda il film sembra proprio di… avere già visto. Il film è stato girato proprio qui, sicuramente almeno per quanto riguarda gli esterni. Noi ora ci troviamo davanti alla casa dove Peppino abitava con i suoi genitori: Luigi, che era un mafioso di piccolo cabotaggio, e Felicia, che invece fu una figura importantissima per Peppino, lo difese sempre dalle ire del padre e dopo la sua tragica morte si batté senza sosta per la memoria di suo figlio e perché fossero condannati autori e mandanti dell’omicidio. Tanto che ora anche a Felicia, morta nel 2004, è dedicato questo spazio che ora è diventato Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato.
Davanti alla porta un grande albero è addobbato con doni e ricordi lasciati dai visitatori. È la prima emozione, ma una più grande ci aspetta: abbiamo saputo da poco che ad accoglierci ci saranno Giovanni Impastato, il fratello minore di Peppino, e Luisa, figlia di Giovanni e quindi nipote di Peppino. Luisa già da un po’ collabora con Giovanni e con tutti gli altri attivisti e volontari nel mantenere viva la memoria dello zio, delle sue lotte e dei suoi ideali.
Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato nasce nella primavera del 2005 a partire dal bisogno di diffondere la verità e chiedere giustizia contro la violenza mafiosa.
Mamma Felicia è stata la prima donna entrata a far parte, dopo il matrimonio, di una famiglia mafiosa che, in seguito alla tragica perdita del figlio, ha deciso di ribellarsi ai dettami della cultura dell’omertà e all’imposizione del silenzio. Ha aperto le porte della sua casa a quanti fossero interessati a conoscere gli aspetti più corrotti della nostra società e dell’apparato istituzionale,
Felicia è scomparsa il 7 dicembre del 2004 dopo un lungo ed estenuante percorso per ottenere giustizia per il figlio Peppino. Ha sempre proseguito con fermezza e decisione, superando anche la stanchezza, la paura, la debolezza fisica, senza mai arrendersi di fronte agli innumerevoli ostacoli e alla sfacciataggine di chi, pur appartenendo al mondo istituzionale, ha più spesso tentato di cancellare la memoria di Peppino e di sporcarla, accusandolo di terrorismo o di aver commesso un suicidio eclatante.
Non è mancato l’isolamento da parte dello Stato, alleggerito solo dall’incontro con magistrati onesti che, per l’intransigenza manifestata nel proprio lavoro, hanno spesso perso la propria vita. La condanna di Gaetano Badalamenti, boss di Cinisi e bersaglio delle continue denunce e dell’impegno politico di Peppino, è arrivata solo nel 2002, 24 anni dopo l’assassinio.
Casa Memoria è oggi un “altare laico”, come lo definisce Umberto Santino, presidente del Centro Impastato, un luogo di memoria e di divulgazione della verità e della cultura, un avamposto della resistenza contro il potere e contro la mafia, la testimonianza concreta di un’esperienza di lotta senza remore, di un’intera vita spesa con coraggio e determinazione.
L’associazione “Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato” costituitasi nel luglio 2010 è formata dalla Famiglia Impastato e da alcuni collaboratori. La Famiglia Impastato, dopo un periodo lungo 34 anni di impegno per la giustizia e la verità e la collaborazione con il “Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato” di Palermo, ha deciso di costituirsi formalmente come gruppo associativo. Negli anni si è occupata di importanti iniziative, non soltanto le manifestazioni in ricordo di Peppino ogni 9 maggio, anniversario del suo assassinio, e in ricordo di Felicia Bartolotta, sua madre, ogni 7 dicembre, anniversario della sua scomparsa, ma anche eventi di promozione culturale, di approfondimento e di sensibilizzazione. Importanti sono stati anche i risultati ottenuti e le battaglie condotte negli ultimi due anni, tra cui la confisca e l’affidamento alla stessa associazione dell’ex casa del boss Badalamenti, mandante dell’omicidio di Peppino; il rinnovo del vincolo posto sul casolare dove fu ucciso Impastato; la richiesta di apertura delle indagini sul depistaggi istituzionali seguenti all’assassinio; l’ottenimento del riconoscimento di “Casa Memoria” come bene di interesse storico culturale, simbolo della storia collettiva e della lotta contro la mafia.
La sala al piano terra di Casa Memoria non è molto grande, perciò date le attuali norme sanitarie noi dobbiamo dividerci in due gruppi: il primo, di cui faccio parte io, sarà accolto e seguito da Luisa, il secondo da Giovanni. A me quindi la storia dello zio Peppino, che non ha mai conosciuto essendo nata nel 1987, la racconta Luisa, che però – si vede – ci mette una passione tale che non importa che non l’abbia mai conosciuto. E poi, lei può contare sui tanti racconti di nonna Felicia, che sono stati fondamentali per la sua crescita. Casa Memoria – dice Luisa – non sarebbe mai esistita senza Felicia, senza la sua scelta di rompere con la tradizione mafiosa che l’avrebbe voluta chiusa nel suo lutto e tra le mura della sua casa, mentre lei decise non solo di denunciare gli assassini del figlio, nella persona di Gaetano Badalamenti, che abitava a soli cento passi da questa casa, ma decise anche di spalancare le porte di questa casa e di continuare a raccontare e a difendere la memoria di Peppino, per non permettere che questa storia venisse dimenticata. Ora sono passati 42 anni da quel 9 maggio 1978 quando il cadavere di Peppino venne ritrovato, la stessa notte in cui veniva ritrovato il corpo di Aldo Moro in via Caetani (una concomitanza che contribuì ad oscurare la vicenda di quel piccolo giornalista della provincia siciliana), ed è innegabile che la figura di Peppino sia riconosciuta e sia diventata un simbolo della lotta contro la mafia e non solo. La sua storia è stata davvero riscattata e questo si deve soprattutto alla scelta di nonna Felicia di costituirsi parte civile. Casa Memoria oggi cerca di porsi in continuità con questa eredità morale e di preservare la memoria di Peppino, accogliendo (almeno fino all’anno scorso) tantissimi visitatori, soprattutto studenti, fino a 250 al giorno. È stato ed è un lavoro impegnativo. In questa stanza dove ci troviamo ora ne entravano 60 (ora sarebbe impensabile, dice Luisa).
Si abbassa la mascherina per parlare, Luisa, per farsi sentire meglio, dato che siamo assolutamente distanziati; ma forse non ce ne sarebbe neanche bisogno, parla molto anche con le mani, e con gli occhi (ha dei bellissimi occhi chiari).

Luisa Impastato
“Il film” – racconta – “ha dato sicuramente una grossa mano a far conoscere la storia di Peppino a un pubblico che con le nostre sole forze non sarebbe stato possibile raggiungere (anch’io l’ho scoperta soprattutto così, anche se ne avevo già sentito parlare prima, ndr), però mi piace ricordare che se non ci fosse stato l’impegno prima, e anche dopo, sarebbe rimasto soltanto un bel film”.
Luisa parte proprio da lì, dal titolo del film, un titolo simbolico, una metafora molto forte, che indica proprio la distanza tra questa casa, dove Peppino ha vissuto, e la casa del boss, tra chi ha combattuto la mafia e chi ha vissuto di mafia. Però nel caso di Peppino, ci tiene a sottolineare, questa metafora è quanto meno riduttiva, perché uno degli aspetti che rende la storia di Peppino Impastato straordinaria, forse unica all’interno dello scenario delle vittime di mafia, è il fatto che questa distanza in realtà nel suo caso è ancora più ridotta, perché la vera battaglia di Peppino, la sua vera lotta contro la mafia, avviene all’interno della sua stessa casa, della sua stessa famiglia e se vogliamo del suo stesso sangue. La lotta alla mafia di Peppino – dice Luisa – è stata soprattutto una lotta interiore. Lui non era soltanto il figlio di un affiliato, ma era il nipote del capomafia di Cinisi, che allora era Cesare Manzella, per cui Peppino era nato proprio dentro la famiglia “reggente”, e in qualche modo aveva anche il destino segnato. Peppino era una persona di una straordinaria intelligenza, aveva tutte le qualità per intraprendere “quella” strada, anche con un ruolo notevole. Eppure lui decise di stare dalla parte opposta.
Quando Peppino è adolescente, nel ’63, viene ucciso lo zio Cesare Manzella durante la prima guerra di mafia, con la prima autobomba utilizzata nella storia della mafia. È lì che Peppino inizia ad acquisire consapevolezza e a maturare l’avversione per il suo stesso mondo; viene anche un po’ influenzato dallo zio materno, che non viene quasi mai menzionato nel film e in altre narrazioni. Nel film c’è invece la figura del pittore Stefano Venuti, ma in realtà prima ancora del pittore c’è questo zio, anche lui iscritto al Partito Comunista, che aveva una cultura, una visione diametralmente opposta a quella del padre, e Peppino gli si affianca. Peppino era un ragazzo di un’intelligenza straordinaria, di una grande cultura, lungimiranza e capacità di analisi della contemporaneità e del contesto storico, era decisamente più avanti rispetto ai suoi compagni. Arriva a maturare delle idee ben precise che poi saranno quelle che lo porteranno a compiere la sua rottura con la sua famiglia di appartenenza, e iniziare giovanissimo le sue attività contro la mafia: ha 16 anni quando scrive sul suo giornalino “L’idea socialista” il famoso titolo “La mafia è una montagna di merda”. Ma la cosa che fa più scalpore è che Peppino fa nomi e cognomi di mafiosi e conniventi; ovviamente questo a Cinisi è come lo scoppio di una bomba: la cosa che fa più “scrusciu” (rumore), come si dice da queste parti, è che questo viene da un interno a questo mondo, da un ragazzo figlio di Luigi Impastato. Questo ovviamente fa iniziare gli scontri con il padre, e questo conflitto interiore che durerà per tutto il resto della breve vita di Peppino. Anche il nonno di Luisa si trovava, per lei, tra due fuochi: da un lato provava a proteggere Peppino ma dall’altro doveva dare soddisfazione ai suoi amici mafiosi. A un certo punto lo butta fuori di casa, per dare un segnale a Badalamenti, ma Felicia, oltre a farlo rientrare quando il padre non c’è, riesce ad imporre al marito, visto che lui si era permesso di buttare fuori il figlio per questo motivo, di non far più entrare in casa i suoi amici mafiosi. Quindi, quando qualcuno di loro doveva parlare con Luigi, lo doveva fare fuori dalla porta di casa. Può sembrare una cosa da poco, ma in quel contesto storico e familiare anche questa imposizione non lo era, un affare da poco. Felicia stava già cominciando a fare la sua scelta definitiva, lei che comunque non era mai stata parte dell’ambiente mafioso. Aveva sposato Luigi per amore, rompendo per lui perfino il fidanzamento con un altro ragazzo che era tornato dalla guerra. Ma allora non sapeva che stava sposando un mafioso, ed era troppo giovane per capirlo, nella Sicilia di allora dove le donne erano tagliate fuori da tutti i discorsi “da uomini”.
Nonostante questo conflitto interiore che si sarebbe portato appresso per il resto della sua vita, Peppino non demorde ma continua la sua attività contro la mafia e la sua attività politica, alla quale ha dedicato la vita. La lotta contro la mafia era parte essenziale dei suoi ideali e delle sue battaglie. Peppino lottava per i diritti umani, e la mafia era la negazione, almeno nel suo contesto, di questi diritti. Parlava di ambientalismo, già negli anni ’60, parlava di antifascismo, di antirazzismo, a quei tempi. Tutti questi temi sono quelli che rendono la storia di Peppino ancora tremendamente attuale. Lui è stato un innovatore, perché utilizzava veramente tutti i mezzi di comunicazione a sua disposizione a quel tempo: i giornali, i comizi, le mostre fotografiche. Per esempio, in una scena del film Peppino si trova in piazza con un gruppo di compagni e stanno presentando una mostra. Avevano chiesto l’autorizzazione per avere il suolo pubblico, che era ovviamente stata negata, per cui loro trovano questo espediente di portare in giro i tabelloni con le foto senza farli mai poggiare sul suolo pubblico. In questo modo viene denunciata la costruzione dell’autostrada Palermo-Trapani, un’autostrada che poteva essere costruita con un tracciato rettilineo (nel film Peppino fa la battuta “Qual è la distanza più breve fra due punti? In tutte le altre parti del mondo è una retta, a Cinisi sono tre curve”) ma venne invece progettata con le curve necessarie per non espropriare i terreni dei mafiosi locali. Il paradosso è che una delle prime attività politiche di Peppino aveva coinvolto i contadini di una località che si chiama Mulinazzo, a cui invece venne espropriata la terra, liquidata con pochi spiccioli, per costruire la terza pista di un aeroporto che in questo territorio non aveva nessuna ragione di esistere (avrebbe dovuto essere costruito invece a Termini Imerese). Ovviamente l’interesse mafioso di avere l’aeroporto nel proprio territorio vinse, ma qui c’è il mare da un lato, la montagna dall’altro, e venti per niente favorevoli. Dovendo costruire questa terza pista, fu espropriata questa enorme parte di Cinisi dove vivevano per la terra e della terra i contadini, al fianco dei quali Peppino si mise nelle loro lotte.
Spesso si pensa a Peppino come un eroe individuale, un attivista solitario. In realtà per lui la componente collettiva è stata fondamentale, e uno strumento di lotta è stato anche quello di riuscire a coinvolgere tantissimi ragazzi di Cinisi, e parliamo di una Cinisi degli anni ’70, ad altissima densità mafiosa, in cui chiunque aveva un amico o un parente mafioso. Peppino è riuscito a coinvolgerli attraverso la cultura, la musica, l’aggregazione, la condivisione, distogliendoli da determinate strade. Dall’associazione “Musica e Cultura” nasce poi l’esperienza della radio, la mitica Radio Aut, creata da Peppino a Terrasini nel periodo in cui in Italia si assisteva al fiorire delle prime radio “libere”. La radio è quella forma di espressione che, tra le tante, ha più contribuito alla decisione del clan Badalamenti di uccidere Peppino. La radio serviva ad amplificare le denunce. Radio Aut arrivava in tutta la provincia: Cinisi, Terrasini e fino a Castellammare del Golfo. Attraverso la radio passavano le sue inchieste; c’era anche una sezione di cui si occupavano le femministe di Cinisi: all’interno di Musica e Cultura era nato uno dei primi collettivi femministi della Sicilia. Anche questa non era una cosa da poco, perché in quegli anni le ragazze che si trovavano ancora ad essere condizionate dalla famiglia erano molte, che non potevano uscire di casa senza il fratello, non potevano decidere se studiare o meno. Anche questo era qualcosa di rivoluzionario, perché le donne si sentivano protette, ascoltate, facenti parte di un gruppo con cui potevano portare avanti le stesse battaglie. Tra le innovazioni che facevano parte della rivoluzione di Peppino a Radio Aut c’è quella di aver utilizzato uno strumento assolutamente nuovo, in quel contesto, come strumento di denuncia: la satira. Peppino non solo nominava gli innominabili e li denunciava, ma li ridicolizzava, li prendeva in giro, faceva ridere la gente di Cinisi alle spalle degli “uomini d’onore”, inscenando nel programma “Onda Pazza” delle vere e proprie situazioni assolutamente esilaranti in cui, in una parodia del genere western, Gaetano Badalamenti, Don Tano, diventava Tano Seduto, il sindaco, che si chiamava Gero Di Stefano, diventava Geronimo Stefanini, e gli facevano fare cose patetiche e ridicole.
Nel settembre del ’77 Luigi impastato muore, investito in un incidente stradale dalle dinamiche molto strane, mai del tutto chiarite. Probabilmente si trattò di un omicidio mascherato. Quello che è quasi certo – dice Luisa – è che finché suo nonno era vivo, Peppino godeva di una sorta di garanzia, di protezione. Nonna Felicia ricordava sempre che quando, a giugno del ’77, Peppino fece uscire un volantino molto pesante in cui accusava Gaetano Badalamenti di essere esperto di lupara e traffico di eroina, Luigi tornò a casa e in quell’occasione, invece di arrabbiarsi e sbraitare come faceva di solito, non disse niente, fece le valigie e comunicò soltanto che sarebbe partito, senza dire dove stesse andando o per quanto tempo. Si scoprirà soltanto successivamente che era stato negli Stati Uniti presso alcuni parenti per cercare protezione per Peppino, perché evidentemente era consapevole che la decisione di ucciderlo era stata già presa. Dopo la morte di Luigi a settembre passano otto mesi e la notte del 9 maggio ’78 Peppino, mentre si trova in campagna elettorale (si era candidato con Democrazia Proletaria per entrare al Consiglio Comunale, quello che lui chiamava alla radio “il maficipio di Mafiopoli”), viene ucciso. Quella notte, da Radio Aut, doveva arrivare qui a casa dei genitori, dove lo aspettavano per salutarlo altri parenti americani; viene prelevato da un gruppo di sicari e portato in un casolare che si trova a qualche chilometro da qui, dove viene prima colpito con delle pietre, poi viene messo sui binari della ferrovia che si trova proprio lì accanto con cinque chili di tritolo e fatto saltare in aria. Di lui non resterà quasi niente, si troveranno quasi intatti solo le mani e i piedi. La mafia l’ha voluto cancellare anche fisicamente, perché anche la modalità dell’omicidio non è tipicamente mafiosa.
Da quel momento in poi inizia un’altra storia, quella di chi cerca di difendere con le unghie e coi denti una verità che era già sotto gli occhi di tutti, perché a Cinisi tutti sapevano cosa faceva Peppino, chi potesse essere il mandante e perché. Gli unici che in quel momento non lo sapevano erano gli esponenti delle forze dell’ordine. Da lì inizierà un vergognoso depistaggio che sarebbe durato più di vent’anni. Da subito si sostengono due tesi: la prima è la tesi dell’attentato terroristico. Peppino era un comunista, lo stesso giorno era stato trovato il corpo di Aldo Moro… Peppino era assolutamente contrario alla strategia stragista delle BR, era assolutamente un non violento, ma si tenta di fare questa associazione, di far credere che lui stava compiendo un atto terroristico ai danni del treno che sarebbe passato e che mentre stava mettendo la bomba sui binari questa gli sia esplosa tra le mani (senza considerare che allora sarebbero state prima di tutto le mani ad essersi disintegrate). L’altra tesi è quella del suicidio: viene trovata, come si vede nel film, una lettera. Nel film è un biglietto di poche righe, in realtà era una lettera molto lunga, che andava contestualizzata e che risaliva a parecchi mesi prima, in cui Peppino parla della sua frustrazione politica, di un suo fallimento come rivoluzionario e dice la famosa frase “Vorrei abbandonare la politica e la vita”. È su queste parole che viene costruita la tesi del suicidio. Quella mattina, quando viene ritrovato il corpo di Peppino, nessuna casa di nessun mafioso viene perquisita, ma vengono perquisite solo le case dei suoi compagni. I compagni di Peppino erano tutti ragazzi, come lui: Peppino è morto a trent’anni. Luisa, che ora di anni ne ha trentatré, racconta che quando ha compiuto i trenta ciò che davvero le faceva impressione era diventare ormai più grande di suo zio quando è stato ucciso. Le pietre sporche di sangue che si trovavano all’interno del casolare vengono completamente ignorate; saranno proprio loro, i compagni di Peppino, a cui quel 9 maggio viene bruscamente interrotta la giovinezza, a raccogliere quelle pietre e a farle autonomamente analizzare, scoprendo che quello era proprio il sangue di Peppino. Non ci sarebbe neanche bisogno di dire – precisa Luisa con amara ironia – che una persona che decide di suicidarsi compiendo un atto terroristico e facendosi esplodere difficilmente prima si prende a pietrate. Nonostante queste evidenze, la battaglia giudiziaria sarà molto lunga e impegnativa. Il contributo determinante sarà dato dalla scelta di nonna Felicia di costituirsi parte civile. In un primo tempo lei non voleva farlo perché temeva per Giovanni, l’unico figlio rimasto. Avrebbe voluto esporsi soltanto lei, ma non esporre il figlio. Quando però le fecero notare che così Peppino sarebbe rimasto per sempre un terrorista, lei decise di rompere anche queste remore e continuare la battaglia. Il processo verrà chiuso e riaperto diverse volte, passando per le mani del Procuratore Costa, di Rocco Chinnici, di Giovanni Falcone, tutte persone che hanno fatto la stessa fine di Peppino. Nel 2002, finalmente, Gaetano Badalamenti venne condannato all’ergastolo come mandante dell’omicidio. A quell’epoca Badalamenti si trovava già in carcere in New Jersey, dove era stato arrestato negli anni ’80 per traffico internazionale di stupefacenti nell’ambito dell’inchiesta nota come Pizza Connection. L’unico ergastolo al quale Badalamenti è stato condannato è quello per l’omicidio di Peppino. C’è una scena dell’altro film che la Rai ha prodotto su Felicia Impastato, una scena alla quale Luisa, nella realtà, non ha partecipato perché era troppo piccola per entrare nell’aula bunker, ma alla quale poi ha assistito mentre veniva riprodotta. Si vede una donna molto anziana, vestita di nero come sempre (Felicia non smise mai il lutto), che punta il dito contro lo schermo in cui vede Badalamenti e dice “Fusti tu!”, sei stato tu ad uccidere Peppino.
Luisa racconta di aver vissuto sulla propria pelle diverse fasi: gli anni dello scoramento, la battaglia giudiziaria e la difficoltà nell’affermare la memoria di Peppino nella stessa Cinisi; ricorda che erano in pochi, ogni anno, a ricordarlo nelle celebrazioni. Il giorno dei funerali il corso era pieno di gente: erano i compagni di Peppino, e tanti militanti di sinistra venuti da fuori; ma le finestre del corso erano rimaste chiuse. Poi però sono arrivati anche gli anni delle grandi soddisfazioni, della solidarietà. In questo è stato fondamentale il film, ma soprattutto la chiusura del processo e un altro fatto che lei e tutta Casa Memoria ritengono storico: quello di aver ricevuto una delegazione della Commissione Parlamentare Antimafia, che aveva aperto un fascicolo sul depistaggio. Venne consegnata a Felicia la relazione in cui si confermava il depistaggio nel caso Impastato e quindi ufficialmente cadeva l’accusa di terrorismo, e lei disse “Avete fatto resuscitare mio figlio”, perché in quel momento finalmente Peppino finiva di essere considerato un terrorista.
A Cinisi dopo il film molti sono diventati improvvisamente “amici” di Peppino, ma la situazione è rimasta dura ancora per anni. Ci sono stati due incendi alla pizzeria che ancora gestisce la famiglia Impastato, uno nel 2009 e uno in tempi più recenti. Ora però pare che, nonostante tutto, le cose stiano cambiando davvero, e lo si vede dal fatto che negli ultimi anni a visitare Casa Memoria, finalmente, vengono anche le scuole di Cinisi.

Giovanni Impastato
Visitiamo brevemente il piccolo museo allestito al piano superiore di Casa Memoria, qualche acquisto di libri e magliette, e poi arriva il momento di percorrere davvero, con Luisa e Giovanni, quei cento passi fino a Casa Badalamenti, che è stata confiscata e fa capo anch’essa a Casa Memoria: ora al piano terra c’è un’associazione, al primo piano la biblioteca. Ma le lotte, in questi casi, non finiscono mai: soltanto pochi mesi fa il figlio di Badalamenti, approfittando di un cavillo burocratico del provvedimento di confisca, ha tentato di riprendersi un casale di campagna anch’esso confiscato nel 2007 e passato nelle proprietà del Comune di Cinisi, rompendo i catenacci e riprendendo possesso di qualcosa che comunque riteneva già suo, senza aspettare la conclusione del procedimento. Gli è andata male, però, perché poco dopo per lui sono scattate le manette ad opera della Dia, che lo ha arrestato a Castellamare del Golfo. Nei suoi confronti pendeva, infatti, un mandato di cattura internazionale emesso dall’autorità giudiziaria di Barra Funda in Brasile con l’accusa di associazione criminale finalizzata al traffico di stupefacenti e falsità ideologica. Un provvedimento emesso nel 2017, ma solo di recente se n’è avuta notizia in Italia. Neanche lui ne era a conoscenza; viveva con la madre in provincia di Trapani, e di tanto in tanto si vedeva anche a Cinisi.
Quei cento passi, ora, sono segnati da pietre d’inciampo. Sono le mattonelle create dall’artista Fabio Butera, che in un susseguirsi di simbologie e rimandi fanno “inciampare” e riflettere i visitatori. Riportano frasi di una poesia di Peppino e altri pensieri dedicati, ad esempio, al rapporto tra donne e mafie e all’ironia che caratterizzava l’attivismo di Peppino. Noi li abbiamo percorsi, e abbiamo anche provato a contare i passi. Per qualcuno sono stati 98, per altri 102, ma per tutti sono stati un’emozione fortissima, anche per averli percorsi con Luisa e Giovanni. Ci sono serviti a pensare, a ricordare, a capire ancora di più, se ce ne fosse bisogno, che la mafia non è vinta. Al massimo ha cambiato strategia, è meno visibile, meno sfrontata di come è stata tra gli anni ’80 e ’90, colpisce in altri posti e in altri modi, è un mostro che si è inabissato pronto a riemergere, è oggi come allora una MONTAGNA DI MERDA.
Non poteva davvero iniziare meglio questo viaggio, che potrà essere difficile per certi versi ma potrà anche darci tanto. Ora ci sposteremo a Palermo, dove ci aspettano ancora tanti incontri, e tanta bellezza. Ma ne parleremo nelle prossime puntate, per ora vi saluto perché come sempre ho già detto fin troppo. E per farlo credo non ci sia niente di meglio che questo video, dove le immagini del film “I cento passi” si accompagnano alle note dell’omonima canzone dei Modena City Ramblers, che sono da sempre tra i miei idoli musicali (è a loro che ho “rubacchiato” anche il nome di questo mio blog), note che ne sono la degna colonna sonora, anche se nella realtà non è stato così, perché la canzone è venuta dopo. Del resto sappiamo che anche la scena del film che si vede qui, con Peppino che fa percorrere i cento passi a Giovanni, non è mai accaduta nella realtà, è frutto della fantasia degli sceneggiatori. Ma la metafora dei cento passi è di una tale potenza, in sé stessa e nella sua “trasposizione” filmica, che io credo che anche Peppino, se potesse vederci, sarebbe felice di essere ricordato così, anche se è fantasia. In fondo anche lui lavorava molto di fantasia, no? Ma sempre per raccontare (e denunciare) la realtà.
Modena City Ramblers – I cento passi – Video
Come credo che Peppino sarebbe felice di vedere, come regolarmente succede ai concerti dei MCR (o dovrei dire “succedeva”, purtroppo…), centinaia di ragazzi di vent’anni, nati molti anni dopo la sua tragica fine, su queste note ballare, saltare, scandire con le dita “1, 2, 3, 4, 5, 10… 100 passi” e perfino commuoversi, qualche volta. È una cosa che mi colpisce sempre, e credo che colpirebbe anche lui, e come succede a me lo farebbe sperare in un futuro migliore.
E… be’, veramente, detto tra noi, sono anch’io uno di quelli che balla, salta ecc., anche se non ho più vent’anni da un pezzo, e spero di poter tornare a farlo presto.
Un doverosissimo e sentitissimo grazie, di cuore, a Luisa Impastato, Giovanni Impastato e a tutta Casa Memoria, a Radio Popolare e a Viaggiemiraggi (soprattutto a Simona e Patrizia)
(TO BE CONTINUED…)
Ciao Piero sono’Franca di Viaggi e Miraggi
Grazie del tuo pezzo che di ha fatto emozionare
Grazie davvero
Spero che ci vedremo presto
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Ciao Franca 🙂 grazie a te. Sono contento di aver potuto fare questo viaggio… appena in tempo, e di poterlo raccontare. Spero anch’io che ci si possa vedere presto. 🤞👋
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