Dalle montagne “maledette” del Kelmend alle Bocche di Cattaro con Confluenze a sudest-Viaggi e Miraggi

Giovedì 1° settembre 2022

Colazione e si parte per quella che sarà l’ultima tappa, già sulla strada del ritorno verso Tirana, dove domani prenderemo il volo di rientro. La meta di oggi è Virpazar, sul lago di Scutari.
Per arrivarci percorriamo un tratto di costa montenegrina che purtroppo risente molto dello sfruttamento estensivo e della speculazione edilizia, ad opera soprattutto di investitori russi: discoteche, hotel, spiagge affollate e cemento. A Budva, dove questo è evidente nel modo più clamoroso, abbiamo appuntamento con Saška, che ci accompagnerà anche in quest’ultima giornata montenegrina. A una manciata di chilometri da Budva c’è Sveti Stefan (Santo Stefano), dove ci fermiamo per un caffè.
Sveti Stefan, in origine un piccolo villaggio di pescatori, sorge su un’isoletta collegata alla vicina terraferma da uno stretto istmo artificiale. Nel quindicesimo secolo, sulla penisola venne costruito un villaggio fortificato come difesa contro le incursioni del Turchi. La penisola era abitata da 12 famiglie e ospitò anche il re di Serbia e la sua corte. Nell’Ottocento il villaggio arrivò a ospitare una popolazione di 400 abitanti. Tra il 1934 e il 1936, sulla terraferma, nell’area prospiciente all’isoletta venne edificata Villa Miločer, che venne utilizzata come residenza estiva dalla regina di Jugoslavia Marija (1900–1961), della famiglia serba Karađorđević. La villa è circondata da 800 ulivi che coprono un’area di circa 32 ettari. Tutti gli edifici della penisola vennero requisiti dal governo jugoslavo durante il regime di Tito. Gli abitanti vennero trasferiti sulla terraferma e venne creato un albergo di lusso per ospitare personalità di alto profilo. Una delle quattro chiese presenti sulla penisola venne trasformata in un casinò.
Formalmente sotto la proprietà della famiglia Radenović per circa quarant’anni, tra gli anni ’60 e ’80 la località venne visitata tra gli altri da Orson Welles, Elizabeth Taylor, Sophia Loren, Carlo Ponti, la Principessa Margaret e Kirk Douglas.
Dopo il declino degli anni ’90, nel 2007 il nuovo governo indipendente del Montenegro ha concesso per 30 anni il complesso ad Aman Resorts, che lo ha ristrutturato e riaperto, rendendo l’isoletta accessibile solo ai clienti del resort. Ora però il resort è chiuso, non avendo più riaperto dopo la chiusura dovuta alla pandemia. Si dice che dietro questa prolungata chiusura ci sia Milo Djukanović, il padre-padrone della politica montenegrina per la prima volta lontano dal potere dopo la sconfitta alle elezioni del 2020. Il suo intento sarebbe di far vedere ai montenegrini che senza di lui anche quello che era un fiore all’occhiello del paese va in rovina, e quindi che il Montenegro non può ancora fare a meno di lui.

Sveti Stefan

Noi comunque ci accontentiamo di fare qualche foto stando a distanza e ripartiamo verso Virpazar, che raggiungiamo poco prima di pranzo. Il pranzo in realtà sarà un pranzo “leggero” (virgolette molto opportune) pensato per accompagnare una degustazione di vini. Siamo infatti ospiti di un viticultore locale, che prima della degustazione ci mostra con orgoglio la sua vigna.

Quelli che coltiva sono vitigni autoctoni di questa zona che si chiama Crmica, in particolare il Vranac, che solo dopo la Seconda guerra mondiale con la Jugoslavia socialista ha iniziato a diffondersi anche in Macedonia e in Bosnia-Erzegovina. Qui, sotto i nostri piedi, dal 1908 al 1958 passava la ferrovia a scartamento ridotto Virpazar – Bar, una linea che allora era un importante collegamento con il principale porto montenegrino. L’anno scorso è terminato un progetto di alcuni ricercatori spagnoli che hanno analizzato dal punto di vista genetico le uve e hanno confermato che il Vranac è originario di qui, come altre varietà che si trovano soltanto in questa zona vinicola. Il Vranac è l’orgoglio della viticultura montenegrina. Qui più o meno tutti si occupano di viticultura, e nel caso dell’azienda vinicola Ukšanović siamo alla terza generazione. Il loro mercato è soprattutto qui, producono per le famiglie della zona e per alcuni ristoranti. I ristoranti, quando ci sono feste o serate importanti, tengono il vino in una botte da cui viene direttamente spillato. In una serata ne vanno facilmente via anche 30 o 40 litri.
I giovani vini di Vranac hanno un colore brillante quasi viola e un profumo pieno di bacche rosse e di marmellate di frutta. Dopo un anno o due di invecchiamento il colore viola si sviluppa in un intenso rubino scuro e il profumo si sviluppa in un aroma più complesso che può includere sentori di cannella, cioccolato, liquirizia, fiori, frutti neri, erbe e anche boschi come la quercia. Il gusto è sottile, rotondo e pieno.

Noi abbiamo potuto degustare un rosè, un rosso e un bianco, facendo poi anche ampiamente onore alla tavola, imbandita con varie buonissime specialità montenegrine o serbe; ad esempio, delle ottime zucchine impanate e la proja, una sorta di focaccia di farina di mais (può essere fatta anche con uova e yogurt) che si accoppia bene con kajmak e panna acida. Quella che si fa qui ha una forma simile a un muffin.

Dopo aver ben mangiato e ben bevuto serve un po’ di riposo, quindi ci dirigiamo alle nostre case: per questa notte saremo ospiti di alcune famiglie locali, che fanno parte di un albergo diffuso. Io e Carlo siamo da Malina, una simpatica signora che ci mette a disposizione addirittura due camere. Lei e il marito usano disinvoltamente (sicuramente più di noi) l’app vocale di Google Translate, e così riusciamo a capirci con una certa facilità.
Non c’è molto tempo di chiacchierare, però, perché dopo una breve pausa dobbiamo ripartire per quella che sarà la nostra ultima escursione: si va in barca sul lago di Scutari fino al monastero di Vranjina, che si trova su un’isola. Il monastero fu fondato nel 1233, all’epoca dei Nemanjić, e consacrato da San Sava, il veneratissimo arcivescovo serbo ortodosso. Data la sua posizione strategica, era esposto agli attacchi dei turchi, che lo colpirono nel 1557 e di nuovo nel 1714. Preso definitivamente nel 1843, fu trasformato in caserma e poi distrutto nel 1862. Una nuova chiesa, dedicata a San Nicola, fu ricostruita all’epoca di re Nicola, nel 1886, dopo che erano state ritrovate tre campane e un’icona di San Nicola. Durante la Seconda guerra mondiale anche questa chiesa fu bruciata e abbandonata. La chiesa è stata poi restaurata nel 1998, ma del monastero non resta altro, tutti gli altri edifici sono in rovina.

In barca, Saška ci racconta che durante il comunismo tutti i monasteri del lago di Scutari, che sono diversi, sono stati abbandonati; le comunità dei monaci non esistevano più. I monaci ortodossi non sono divisi in ordini come quelli cattolici, ma seguono tutti la stessa regola. Un’altra differenza tra cattolici e ortodossi è che per gli ortodossi non esiste il purgatorio: o inferno o paradiso, non ci sono vie di mezzo. Poi i cattolici credono che la madonna sia stata assunta in cielo con tutto il corpo, per gli ortodossi solo l’anima è andata in paradiso. Nelle chiese ortodosse, infatti, a volte Maria è rappresentata bambina in braccio a Gesù, a significare che è stato lui a darle la vita eterna.
All’epoca della fondazione del monastero il territorio della Serbia medioevale era esteso, e comprendeva anche parte dell’odierna Albania. Il Montenegro, che allora si chiamava Zeta, era una provincia dell’impero serbo. Il lago di Scutari era caratterizzato da 18 “colline” (chiamate gorica) che erano raggiungibili a piedi quando il livello del lago era basso e diventavano isole nei periodi in cui il livello dell’acqua saliva. Poi arrivarono gli ottomani, dopo la battaglia di Kosovo Polje del 1389 in cui persero la vita entrambi i sovrani (il sultano turco Murad e il principe serbo Lazar), approfittando anche del fatto che i signori locali, rimasti senza una guida, non riuscivano a mettersi d’accordo.
Anche in barca non mancano generi di conforto: rakija, formaggio e frittelline da intingere nel miele, simili ai tortelli di Carnevale milanesi.

Questa parte del lago di Scutari offre piacevoli paesaggi palustri che ricordano un po’ quelli del delta del Danubio.

Sbarcati sull’isola, ci facciamo una breve camminata per raggiungere la chiesa. All’interno, una bella iconostasi e icone ovviamente di San Nicola, dei Santi Pietro e Paolo, di San Giorgio. Ci voleva un momento di “misticismo”, per completare il cocktail di questo viaggio.

La chiesa di San Nicola

San Nicola

SS. Pietro e Paolo

Cristo e San Giorgio

Dopo di che, si torna a Virpazar a prepararci per la cena: saremo ospiti di Nada e suo marito, un’altra delle famiglie che fanno parte dell’albergo diffuso. Naturalmente anche dal punto di vista “slow food” chiudiamo in bellezza, con i solti gustosi e abbondanti antipasti, seguiti dal piatto forte che è il cinghiale, accompagnato con il riso. Anche qui si abbonda in tutto, diciamo che l’idea di limitare lo spreco alimentare da queste parti non fa ancora molta presa. Soprattutto quando si mangia in famiglia, il principio è che bisogna offrire tanto di tutto, e che se non avanza niente vuol dire che non era abbastanza.
L’unico piccolo inconveniente è che piove a dirotto, e quindi non possiamo mangiare all’aperto come era in programma. Ma devo dire che la “location” alternativa che abbiamo trovato, una sorta di grotta, è molto suggestiva.
Si tracciano i primi bilanci di fine viaggio, che non possono che essere positivi: abbiamo scoperto un nuovo pezzo di Balcani, ci siamo saziati di storia, di cultura, di letteratura e anche… di cibo, e il gruppo, che era affiatato fin dall’inizio, si è arricchito con Giorgia e Carlo di due ottimi nuovi acquisti che si sono inseriti alla perfezione.
Prima che si cominci a intristirsi, o a pensare al prossimo viaggio, che di solito è la soluzione per mandar via la tristezza, spunta fuori una chitarra. Rosa la sa suonare, e quindi si canta. Sul come è meglio sorvolare, diciamo che potete immaginare che il tasso alcolico non era dei più bassi. Inevitabilmente, si pesca soprattutto nel repertorio del cantautorato italiano non… recentissimo, diciamo così. E allora mi perdonerete se ne approfitto per dare la buonanotte e un arrivederci alla prossima, a voi che avete avuto la pazienza di leggere fin qui, con la “nostra” versione di Buonanotte fiorellino… e che ci perdoni soprattutto Francesco De Gregori.

Grazie come al solito all’impareggiabile Eugenio Berra, a ViaggieMiraggi, Anna e Drita della ONG VIS, Slavko Burzanović, Aleksandra-Saška Rakčević, Aleksandra della ONG Expeditio.
Grazie a tutte e tutti i compagni di viaggio, e in particolare a Piera alla quale qua e là ho rubacchiato qualche foto.