Un viaggio nel magico mondo delle Janas, le fate della mitologia sarda, che secondo le leggende popolari vivevano in case di pietra, le “domus de Janas”, e tramandarono alle donne sarde la meravigliosa arte della tessitura. Un itinerario tra Marmilla, Barbagia e Ogliastra e alla scoperta dei simboli ancestrali e delle leggende della cultura sarda, degli antichi saperi delle comunità agropastorali e delle meraviglie della natura… e tutto volando sulle ali delle Mariposas de Sardinia.
3 – I fili di Ulassai
10 aprile 2023
Oggi è Pasquetta (tecnicamente il lunedì dell’Angelo), ma noi neanche oggi ci possiamo rilassare più di tanto. O meglio, possiamo (e dobbiamo) rilassarci ma restando attivi… ed è proprio per questo che c’è in programma una sessione di yoga di mattina presto. Perciò, subito dopo la colazione (che non è ricca come quella di Daniela, ma abbiamo potuto scegliere la sera prima ciascuno il suo croissant preferito, non ci possiamo lamentare), si sale sul pullmino e raggiungiamo una radura ai piedi di uno dei Tacchi dell’Ogliastra, dove ci sono già dei materassini colorati che ci aspettano.


Ci aspetta anche Ellie, una ragazza americana che da qualche mese si è stabilita qui in Sardegna e che, tra le varie attività che fa a contatto con la natura (arrampicata e altri sport ancora più estremi), è anche insegnante di yoga. Dato che la mattina è particolarmente fresca e umida, nel gruppo sembra esserci qualche perplessità sull’idea di sdraiarsi o sedersi a terra, sia pure col materassino a fare da cuscinetto tra noi e la nuda terra, e così lei accetta di buon grado di farci fare tutti gli esercizi in piedi: faremo una sorta di nostra versione del saluto al sole, che alla fine di questa mezz’oretta dovrebbe arrivare a scaldarci un po’… ci proviamo, compatibilmente con le nostre capacità piuttosto scarse; se non ho capito male, giunture scricchiolanti a parte, solo un paio di persone hanno qualche precedente esperienza di yoga. Lei, parlando un itagnolo con accento americano molto divertente (e comunque ben comprensibile), cerca di spingerci a “crescere” andando sempre più su con le braccia (e, nel mio caso, se ci riuscissi non sarebbe davvero male) e a trovare il nostro equilibrio su un piede solo in varie posizioni, inspirando ed espirando… insomma, si impegna al massimo ma la nostra risposta (parlo prima di tutto per me) è così così… come diciamo noi giovani, bene ma non benissimo, mettiamola così. Credo che si capisca abbastanza bene anche da questo breve video girato da Viola:
Alla fine il sole, mai così desiderato, arriva e così salutiamo Ellie e la ringraziamo per averci provato.
Da qui vediamo anche un ragazzo che fa qualcosa che si chiama – credo – High line, cioè cammina in equilibrio su una corda tesa a molti (troppi) metri dal suolo… sicuramente è una botta di adrenalina, ma non rientra nei miei piani a breve (e neanche a medio) termine.





Questo bosco è “giovane” perché nel 1800 c’è stato un grande taglio di alberi, utilizzati per le traversine della ferrovia, che si stava costruendo in quel periodo, e per la produzione di carbone, che non veniva utilizzato tutto qui ma in buona parte finiva anche fuori dalla Sardegna. Si andava quindi a depauperare una risorsa dell’isola senza che i sardi ne traessero particolari benefici, fatto che ovviamente non contribuiva grandemente alla “popolarità” del governo centrale da queste parti.
Erano tempi in cui, naturalmente, anche tra sardi, e perfino tra “vicini di casa”, non sempre c’erano rapporti di amicizia e solidarietà. Gli ulassesi (cioè gli abitanti di Ulàssai – tenete presente che l’accento anche qui va sulla prima a), fin da quell’epoca sono soprannominati “affettuosamente” furacabras, cioè ruba-capre, perché si diceva che spesso e volentieri, quando le greggi passavano di qui per la transumanza, non passassero indenni ma “perdessero” un certo numero di capre.
Il cammino non è particolarmente difficile, ma qualche salita c’è, e quindi per “motivare” il gruppo Simone sfodera quello che – ammette lui stesso – è un grande classico di tutte le guide che accompagnano le persone sui sentieri di montagna: “Tranquilli, 5 minuti e spiana”. Le guide di montagna, alpine o ambientali che siano, sono sicuramente da annoverare – dice Simone con una buona dose di autoironia – tra i grandi traditori della Storia: Giuda, Caino e compagnia. Da lì in poi, ovviamente, #5minutiespiana diventa l’hashtag della mattinata.





Alla fine spiana davvero e arriviamo a un capanno utilizzato in passato come ricovero dai pastori, che qui facevano anche il formaggio. Lo stile architettonico – spiega Simone – ricorda quello del periodo nuragico. Nei siti archeologici sardi più importanti, come Barumini, si possono vedere una serie di circoli di pietre fatti proprio come questo: erano le capanne in cui i popoli nuragici vivevano, che componevano il villaggio che sorgeva intorno al nuraghe vero e proprio, che di solito stava un po’ più in alto. O a volte sono invece villaggi costruiti successivamente con pietre di recupero prese dai nuraghi stessi. Non c’è ovviamente la copertura, che era sempre di tronchi e frasche, proprio come quella che vediamo qui. Nella zona del Supramonte si usavano tronchi di ginepro, che più tardi sarebbero serviti anche per altri usi, come “Su scalone”, che era una rampa di legno che serviva per spostare il bestiame da una zona rocciosa a un’altra, magari scavalcando una voragine. Alcune “scale” di questo tipo, ancora più ripide, erano usate dai pastori per spostarsi velocemente. Si trattava davvero di pastori “alpinisti”, che si lanciavano in arrampicate molto difficili.


Ora il problema diventa trovare un buon posto per il picnic: come era forse prevedibile, non siamo i soli ad avere avuto questa idea per il giorno di Pasquetta; la parte di bosco dove ci troviamo, per di più, è accessibile anche con mezzi motorizzati, e quindi a maggior ragione un po’ di gente c’è… con la prima area attrezzata ci va male. Proseguendo, c’è un altro posto che potrebbe fare al caso nostro, ma il tavolo è occupato da una coppia di motociclisti stranieri non di primissimo pelo. Mentre Viola è andata a recuperare le provviste sul pullmino, noi proviamo a occupare almeno una panca che, all’occorrenza, potrebbe fare da piano di appoggio utilizzando qualche pietra come sedile di fortuna. Ma nel frattempo arriva rombando anche un gruppo di persone con dei quad, che sembrano giunti apposta per guastarci completamente la festa… temiamo il peggio, ma in pochi minuti tutto va invece nella direzione giusta: i quaddisti (ammesso che si dica così) si erano fermati solo per guardare il panorama e fare qualche foto, perciò ripartono più scoppiettanti di prima, e contemporaneamente se ne vanno anche i due motociclisti: via libera, il tavolo è nostro!

Salutiamo Simone e ci lanciamo su sacchetti e borse frigo, in un attimo la tavola è imbandita con tutto quello che ci serve. Salsiccia, formaggio casizolu (è una provoletta di latte vaccino, una specie di caciocavallo dalla caratteristica forma a pera), formaggio spalmabile, finocchi, olive, carciofini, miele, marmellata di limone fatta dalla mamma di Lalli (un’altra Mariposa)… e pane guttiau, che sarebbe poi pane carasau con l’olio, in abbondanza. Ma abbiamo scoperto che il vero must del picnic sardo, l’elemento irrinunciabile, sono le uova di quaglia! Devo ammettere che per me è una novità, ma le ho molto apprezzate, come tutti del resto. Ovviamente non manca del buon vino… ed è anche la prima occasione della giornata per fare gli auguri a Roberto: oggi è il suo compleanno! Brindiamo alla sua salute e ci godiamo questi momenti con tutta la rilassatezza che serve.


Dopo di che, sazi e felici, ci avviamo verso il pullmino: c’è ancora tutto un pomeriggio da passare a Ulassai, dove il programma prevede di omaggiare quella che è stata probabilmente la jana per eccellenza, quella vera, in carne e ossa, la personificazione di questa figura mitologica: Maria Lai, la più grande artista contemporanea sarda, nonché la più celebre cittadina di Ulassai. È un po’ la chiusura ideale del cerchio di questo viaggio iniziato con le domus de janas.

Visiteremo una mostra temporanea con le opere di Maria Lai alla “Stazione dell’Arte”, nel corpo vecchio dell’edificio. Siamo stati veramente fortunati perché da mesi, ormai, il museo era in ristrutturazione e quindi chiuso al pubblico. Ma Viola, pochi giorni prima di partire, ci ha comunicato questa sorpresa e perciò siamo molto curiosi (almeno io, che – confesso – so pochissimo di lei e della sua opera) di scoprire quest’artista, che è scomparsa nel 2013 all’età di 93 anni.

Ad accoglierci c’è Damiano Rossi, un giovane artista sardo che Maria Lai ha avuto la fortuna di conoscerla e si può considerare in qualche modo un suo discepolo. Lui ha studiato all’Accademia delle Belle Arti di Sassari, dove si è laureato a pieni voti nel 2007 e ora è guida museale qui al Museo di Arte Contemporanea Fondazione Stazione dell’Arte di Ulassai. In questo museo ha potuto conoscere tanti artisti, ma soprattutto lei, Maria Lai.
Questo edificio – ci spiega Damiano prima di entrare nel museo – era la vecchia stazione ferroviaria. Era nota come la stazione di Jerzu, perché Jerzu, che confina con Ulassai, era l’ultimo paese della valle del Pardu. Da qui il treno saliva verso Taquisara, e lì si incrociava con la tratta storica, un po’ più lunga, che va da Tortolì a Mandas. Questo, nel 1893, è stato il primo luogo a creare una connessione con qualcosa al di fuori di questo territorio. Prima non c’era nessun collegamento, e si impiegavano circa tre giorni e mezzo per arrivare a Cagliari, su strade dissestate e pericolose, anche per via del banditismo. Con la ferrovia, il territorio iniziò a potersi connettere a livello politico e sociale, uscendo da un secolare isolamento. La ferrovia funzionò fino al 1956, dopo di che venne completamente smantellata e la stazione fu abbandonata. Rimase una struttura fatiscente, utilizzata solo dai pastori del paese. Ma poi arrivò Maria Lai, che era nativa di Ulassai e che qui ha lavorato tantissimo: la sua opera più nota, che è anche la prima opera d’arte relazionale nel panorama dell’arte contemporanea, è Legarsi alla montagna, del 1981. L’operazione durò tre giorni ed ebbe ampio risalto, interessando anche la televisione di stato. L’ispirazione dell’opera derivava da una reinterpretazione di una antica leggenda del paese, Sa Rutta de is’Antigus (La grotta degli Antichi), che era stata ripresa da un fatto realmente accaduto ad Ulassai nel 1861. Un giorno crollò un costone della montagna che travolse un’abitazione, all’interno della quale morirono tre bambine: un’altra però riuscì a salvarsi e aveva in mano un nastro celeste. I popolani interpretarono il fatto come un miracolo divino, che fu tramandato di generazione in generazione: la bambina, per inseguire un filo azzurro che volava in cielo tra i fulmini, era uscita dalla grotta poco prima del crollo avendo così salva la vita. Maria Lai unì con un filo celeste lungo 27 km le case del paese e il soprastante monte Gedili. In un luogo dominato da vendette e in cui le offese si lavavano spesso col sangue, tutti assecondarono il suo desiderio. Il nastro passò di mano in mano al di sopra dell’odio e delle incomprensioni.
Ulassai da quel momento è diventato un vero museo a cielo aperto e questi spazi, che erano dismessi, furono riadattati a museo di arte contemporanea. Lei fece una donazione di circa 150 opere, e così nacque la Stazione dell’Arte. Qui ogni anno vengono ospitati anche eventi come il Festival dei Tacchi, ed è quindi uno spazio che oggi è utilizzato per molte altre iniziative. Lo spazio centrale è ancora in fase di restauro e quindi non è visibile, perciò potremo vedere soltanto questa mostra di cui Damiano è anche curatore, che tocca due temi in particolare: quello del presepe e quello della via crucis.
I presepi richiamano ovviamente, soprattutto se semplici ed essenziali, realizzati con materiali poveri come quelli di Maria Lai, il pensiero di San Francesco, che è in qualche modo – dice Damiano – il primo performer della religione. L’artista è tornata sul tema del presepe con una costanza e una dedizione che dicono come quel soggetto fosse un paradigma aperto da cui partire per dire semplici verità sull’esistenza umana e la sua sete di infinito. Nella contemplazione di uno dei suoi teatrini, in cui i personaggi vivono inscritti in una porzione definita di infinito, chi guarda può immaginarsi la storia di una famiglia in viaggio, ma anche quella di un Dio che è sceso in terra: l’infinito che diventa finito, nel tempo e nello spazio.






Maria Lai è una Jana perché è stata prima di tutto una grande maestra dell’arte tessile, quella che secondo la tradizione le janas avrebbero trasmesso alle donne sarde: Un’artista che celebrò la magia dei telai e dei fili, usandoli per creare le sue opere. La sua arte va oltre i modelli classici, che vengono destrutturati. Nel caso dei presepi, elimina il filtro tra noi e Dio, cercando un rapporto con l’infinito, per andare oltre l’immaginazione.
In un’altra sala si può vedere l’installazione “Invito a Tavola”, un grande tavolo di circa 3 metri di lunghezza, apparecchiato con pane e libri in terracotta, insieme alle rappresentazioni delle stazioni della via crucis fatte con fragili fili su velluto nero, un’opera che Maria Lai ha donato alle Pie Suore della Redenzione di Ulassai.



Un’altra opera è ispirata a un racconto di Salvatore Cambosu (Miele Amaro, 1954), la cui protagonista, Maria Pietra, si trasforma in pietra per salvare il suo amato bambino, Cuore Mio, da un’eterna condanna.



Le parole di Damiano, che ci ha fatto capire queste opere con competenza ma anche con passione, e i suoi ricordi che ci ha regalato di Maria Lai, della sua sensibilità e generosità, hanno toccato il cuore un po’ di tutti.

https://www.stazionedellarte.com/

Lo dobbiamo salutare, un po’ a malincuore ma in realtà per continuare il percorso: il laboratorio tessile Su Marmuri, che andiamo a visitare, è strettamente e intimamente collegato a Maria Lai. Anche le donne di questa piccola cooperativa di Ulassai l’hanno conosciuta, e a loro l’artista ha regalato i suoi disegni, che tuttora riproducono e reinterpretano nelle loro creazioni.
La collaborazione con Maria Lai inizia con Legarsi alla montagna nel 1981. L’artista pensò di realizzare un tappeto che doveva inizialmente fare da “copertina” all’evento, in realtà poi non fu così ma questo fu lo spunto per conoscersi e iniziare a collaborare. Nel corso degli anni si sono inseriti altri disegni, ma non solo disegni donati direttamente da Maria Lai alla cooperativa, anche realizzazioni di manufatti appositamente per le sue opere, che sono quindi diventati dei pezzi unici. Una collaborazione importantissima, ma la cooperativa non è “solo” Maria Lai: esiste tutto un substrato di tradizione, perché il paese è un paese a tradizione tessile; oggi ci sono forse solo una ventina di telai nelle case, ma prima il telaio c’era in tutte le case. Sono state sviluppate sperimentazioni autonome delle donne della cooperativa, e anche collaborazioni con altri artisti, anche se Maria Lai è sempre un po’ il “marchio di fabbrica” di Su Marmuri.



Qui la tessitura non è più totalmente manuale, come invece avviene ancora da Su Trobasciu a Mogoro, un altro laboratorio tessile gestito da una cooperativa di donne che mi è capitato di visitare (e che anche il resto del gruppo ha potuto vedere prima che Patrizia ed io ci unissimo). Sono stati inseriti dei telai parzialmente meccanizzati che aiutano a fare meno fatica fisica, fissando la parte finale del giro con un meccanismo alimentato elettricamente. Tutto il resto è manuale. Producono arazzi, copriletti, cuscini, tappeti, asciugamani…
Le socie della cooperativa sono 5, con due dipendenti. Questa è la cooperativa tutta al femminile più vecchia della Sardegna, subito seguita da quella di Mogoro in questa speciale classifica. Altre, che erano nate prima, ormai non esistono più.
Una delle immagini più cariche di storia e di significato, tra tutte quelle che si possono trovare rappresentate sui prodotti di Su Marmuri, è quella tratta da una sorta di fiaba popolare che piaceva molto a Maria Lai: Le caprette, nella notte di luna piena, rimangono immobili a guardare la luna dalla cima dei Tacchi, le montagne dell’Ogliastra, che hanno una conformazione piatta sulla sommità. La montagna con la caratteristica spaccatura è proprio quella che si trova davanti a Ulassai. Questo disegno è stato realizzato per la prima volta proprio come regalo a Maria Lai per i suoi 90 anni.



Dopo aver visto alcuni momenti della lavorazione, ci dedichiamo a qualche acquisto, soprattutto dei piccoli telaietti che ci piacciono molto, con disegnate le caprette stilizzate “simbolo” di Maria Lai in tutte le versioni possibili. Basta un breve confabulare tra di noi per decidere di regalarne uno anche a Viola, che ne ha appena comprato uno per la sua mamma. Un regalino se lo merita proprio.
http://www.sumarmuri.it/cooptessile/default.asp

Ci manca ancora un’ultima tappa per concludere il percorso su Maria Lai, o forse due. Vorremmo anche entrare un attimo nella chiesa, ma è chiusa. Chiediamo indicazioni a un’anziana signora che vediamo sul balcone, spiegandole perché siamo qui, che siamo stati alla Stazione dell’Arte ecc…. lei, però, ci “gela” un po’ dicendo piuttosto chiaramente che per lei Maria Lai non rappresenta niente: non crede che sia stata così importante per Ulassai, anche (forse soprattutto) perché era di famiglia benestante e si è sempre tenuta “a distanza” dalle persone del popolo. A suo dire, non avrebbe dato niente al paese. Un’immagine ben diversa da quella di un’artista generosa e “inclusiva” che avevamo ricavato dalle parole di Damiano. È la conferma, comunque, di quello che un po’ avevo letto qua e là preparandomi al viaggio, e cioè che il rapporto tra l’artista e il paese non è sempre stato facile; come spesso accade in questi casi, una persona che cerca di fare qualcosa di originale e “diverso” viene vissuta da molti come una sorta di corpo estraneo e fa fatica ad essere accettata da tutti.
Poi però abbiamo conosciuto Assunta, un’altra signora di più di ottant’anni che abbiamo incontrato per strada mentre cercavamo di capire se davvero non si poteva entrare in chiesa e perché. Lei ha un’opinione diversa, ricorda la generosità di Maria Lai anche se ammette di far fatica a capirla come artista. La breve chiacchierata con lei ci ha persino un po’ commosso, perché ci ha confessato che sta riprendendosi da una brutta caduta e perciò temporaneamente ha dovuto lasciare casa sua per stare dalla sorella perché aveva bisogno di assistenza ed essendo rimasta vedova ora è sola. Altrimenti ci avrebbe invitato per un caffè, ma non essendo casa sua non se la sente… il suo più grande desiderio sarebbe di poter andare a Fatima, e a noi è quasi venuta voglia di organizzare un viaggio per portarcela.

A questo punto ci rimane da vedere l’antico lavatoio, dove l’opera di Maria Lai intitolata “Telaio-soffitto” (1982) convive con altre opere di altri artisti. Anche in questo caso l’artista ulassese si avvalse della collaborazione degli abitanti di Ulassai che parteciparono attivamente alla nuova decorazione della copertura. Due anni più tardi, Maria chiamò Luigi Veronesi a realizzare sulla parete esterna il mosaico “La fontana della sorgente” mentre nel 1987, su disegno di Costantino Nivola, fu costruita la Fontana sonora. La serie di interventi proseguì ancora con Guido Strazza che, nel 1989, eseguì un secondo mosaico dal titolo “La fontana del grano” sull’altra parete esterna del lavatoio e, successivamente, la pavimentazione antistante.



Quella che è davvero l’ultima tappa è il cimitero di Ulassai, dove ci abbiamo messo un po’ ma siamo riusciti a trovare la tomba di Maria Lai, che è una semplice lastra di marmo nero con un medaglione bianco scolpito da Francesco Ciusa per Cornelietta, la sorella di Maria Lai morta nel 1935.

La sera, a cena, è già (purtroppo) il momento dei saluti, perché domani mattina partiremo presto per Cagliari, da dove alla spicciolata, con voli diversi, ciascuno rientrerà a casa propria.
Ma bando alle tristezze: ce ne andiamo a Gairo, dove ci godiamo un’ultima cena sarda (gettonatissimi gli spaghetti con ragù di capra). Alla fine abbiamo ancora il compleanno di Roberto da festeggiare ancora più degnamente di quanto fatto a pranzo, stavolta con un po’ di bollicine. Siamo stati molto bene insieme, tra di noi e con Viola. Il regalino glielo abbiamo già fatto, ma io mi sono permesso di aggiungere una piccola dedica in rima, la consueta “poesiola stupidella” che è ormai una tradizione, instaurata fin dal mio primo viaggio sardo (sì, ho dei precedenti… penali in questo senso). Ho raccolto le firme di tutti prima di cena, e quindi si può andare con la “cerimonia” di consegna. Ovviamente, tocca anche a voi beccarvela, come chiusura di questo racconto di fate:
Pasqua sulla via delle fate
Dalle domus, le magiche grotte,
a Sadali con le sue cascate
Acque che scorrono ininterrotte
E Maria Lai, la grande tessitrice
che ha unito un paese coi suoi fili
E tutto a passi lenti e gentili
Grazie alla nostra “guidatrice”
una farfalla che ha il nome di un fiore
la mariposa-jana del nostro cuore ❤ 🦋
So già che per me è un a si biri (arrivederci) a presto, perché dopo un po’ vado in astinenza da mariposas, e spero che diventerà così anche per le nuove compagne e i nuovi compagni di viaggio. Citando come sempre Francesco, ex pescatore cabrarese incontrato nel primo viaggio, “Deu bollara… e is carabineris!” (lo voglia Dio… e anche i carabinieri non ci si mettano di mezzo).
A si biri anche a voi!
Grazie a: Ilaria e Roberto di Boghes (Villa Sant’Antonio), Daniela e il suo fatato B&B del Folletto, la cooperativa Tre Fate di Sadali, in particolare Cristiana e Doriano, Ellie che ha provato a… scioglierci un po’, Simone, Damiano della Stazione dell’Arte, la cooperativa Su Marmuri, e anche al mitico Michele Cuscusa che abbiamo poi incontrato a Cagliari per portare a casa un po’ del suo prezioso pecorino. Ma soprattutto a ViaggieMiraggi, qui rappresentata dalle meravigliose Mariposas de Sardinia, e naturalmente alle compagne e al compagno (uno ma buono) di viaggio.