Un viaggio con Radio Popolare ripercorrendo i luoghi pasoliniani della capitale a cento (e uno) anni dalla nascita del poeta: Monteverde, Testaccio, Ostiense, Pigneto, fino all’idroscalo di Ostia, luogo in cui Pasolini incontrò la morte… esplorando i luoghi amati e vissuti da lui e quelli percorsi dai personaggi dei suoi film e delle sue opere letterarie

1 – Ragazzi di vita

“Mo je faccio vede io come ce se tuffa!” gridò il Riccetto, e si gettò in acqua.
“Come l’ho fatto?” gridò riemergendo a Marcello. “Co’ ‘e gambe larghe”, disse Marcello. “Mo ce riprovo”, fece il Riccetto e si arrampicò su per la riva.
In quel momento quelli che stavano a far caciara intorno al Monnezza che sollevava i pesi, si spostarono in massa verso il trampolino: venivano giù con un ghigno sicuro e beffardo, sputando, coi più piccoletti che zompavano intorno o si rotolavano abbracciati pel marciapiede. Erano più di una cinquantina, e invasero il piccolo spiazzo d’erba sporca intorno al trampolino: per primo partì il Monnezza, biondo come la paglia e pieno di cigolini rossi, e fece un carpio con le sette bellezze: gli andarono dietro Remo, lo Spudorato, il Pecetto, il Ciccione, Pallante, ma pure i più piccoletti, che non ci smagravano per niente, e anzi Ercoletto, del vicolo dei Cinque, era forse il meglio di tutti: si tuffava correndo pel trampolino sulla punta dei piedi e le braccia aperte, leggero, come se ballasse. Il Riccetto e gli altri si ritirarono ammusati a sedere sull’erba bruciata, e guardavano in silenzio.

Giovedì 4 maggio 2023

Roma. Ecco Roma, la stupenda e misera città tanto cantata da Pier Paolo Pasolini, che vediamo scorrere dai finestrini del treno andando, un po’ più lentamente dopo aver divorato in tre ore gli oltre 600 chilometri che separano Roma da Milano, da Roma Tiburtina verso Roma Termini. Siamo qui proprio per ricordare lui, PPP, ripercorrendo i passi suoi e dei suoi personaggi, a 101 anni dalla sua nascita. Questo viaggio è il seguito ideale di quello che abbiamo fatto lo scorso ottobre in Friuli, nei luoghi della sua infanzia e giovinezza. Gli anni dovevano essere 100, ma poi per questioni organizzative tutto è un po’ slittato in là nel tempo e allora, avendo fatto il Friuli a ottobre del ’22, con questa seconda tappa romana abbiamo sforato nel ’23, ma poco importa.

Ora ci godremo questa primavera romana, con il sole che già scalda l’aria del mezzogiorno di un giovedì di inizio maggio, e faremo un percorso che, ne siamo sicuri, ci farà scoprire una Roma insolita e ci farà conoscere e apprezzare ancora di più, se possibile, uno dei più grandi intellettuali italiani del Novecento. È un viaggio, naturalmente, targato ViaggieMiraggi e Radio Popolare, e perciò il gruppo non poteva che essere guidato da Claudio Agostoni, che già aveva guidato da par suo la nostra incursione in terra friulana. Siamo undici, contando anche Claudio e sua moglie Rossana. Il gruppo è a predominanza milanese, ma non mancano presenze da Bergamo, dalla Brianza (Carate, per l’esattezza) e dall’Emilia (Modena e Parma).
Dopo aver rapidamente lasciato giù le valigie all’Hotel Madison, a due passi – veramente due – dalla stazione Termini (posizione ovviamente strategica), abbiamo subito un appuntamento che ci farà partire davvero col botto: è quello con Er Pecetto, al secolo Silvio Parrello, l’ultimo dei ragazzi di vita protagonisti del primo romanzo di Pasolini, e sicuramente quello tra loro che più di tutti in questi anni si è dedicato a mantenere viva la memoria di quegli anni così intensi e pieni di tutto, di vita e di arte, che spesso si intrecciavano e si mescolavano senza che fosse possibile tracciare un confine netto tra l’una e l’altra, trascorsi dal grande autore e regista nella capitale.
Per incontrarlo dobbiamo recarci a casa sua, a Monteverde, dove anche Pasolini visse per parecchi anni. Purtroppo, sull’autobus H, abbiamo avuto il primo (e direi unico) contrattempo di questo weekend lungo romano: al nostro compagno di viaggio Stefano è stato rubato il telefonino, e anche se lui l’ha presa in maniera molto sportiva, è indubbiamente un fastidio non da poco. Ma si sa che sugli auti romani (per chi non lo sapesse, a Roma l’auto non è la macchina ma appunto l’autobus, al plurale ovviamente auti) può succedere, come del resto succede a Milano (a me è successo alla fermata della 91) e in qualunque città del globo terracqueo.
Ci troviamo a Monteverde nuovo, quella parte del quartiere che ai tempi di Pasolini era la borgata Donna Olimpia, una delle più citate in Ragazzi di vita, perché ci abitavano il Riccetto e parecchi dei suoi amici e compagni di scorribande. Donna Olimpia, come altre borgate, nasce dalla volontà fascista di allontanare il sottoproletariato dal centro della città; allora era abitata da molti sfollati, baraccati, molti che come il Riccetto dormivano nella scuola Franceschi, quella scuola di cui Pasolini raccontò fedelmente proprio in quel romanzo il crollo di un tetto. Silvio ci aspetta davanti al suo laboratorio di pittore, che è anche un piccolo museo pasoliniano informale. Claudio lo conosce già, per averlo intervistato l’anno scorso per il podcast “Le geografie di Pasolini”, prodotto da Radio Popolare in occasione del centenario pasoliniano. Colgo l’occasione per consigliarvelo vivamente, lo trovate sul sito della radio nella sezione podcast.

Per questo si sono sentiti, in questi giorni, e Silvio, sapendo che saremmo arrivati verso mezzogiorno, ci ha invitati a pranzare con lui in una storica osteria qui a Donna Olimpia. Invito che, naturalmente, abbiamo accettato con entusiasmo.

Perciò è davanti a degli ottimi carciofi alla giudìa, e ad altri piatti della tradizione romana preparati come meglio non si può, che iniziamo a conversare con Silvio, 80 anni portati in maniera molto gajarda e in possesso (beato lui) di una memoria veramente prodigiosa. Abbiamo poi scoperto che conosce a memoria tutta, o quasi tutta, l’opera pasoliniana, dal romanzo che lo vede tra i protagonisti a molte poesie che sciorina con una disinvoltura incredibile. Certo, nel recitare brani di un romanzo come Ragazzi di vita, che è scritto tutto in un italiano misto al romanesco e al gergo dei ragazzi di quegli anni dell’immediato dopoguerra, l’accento romano doc lo aiuta. Ma non è tutto qui, è anche “portato”, lui lo sa e se ne compiace. Qui ci recita un pezzetto che fa proprio parte dell’incipit di Ragazzi di vita:


Carciofi alla giudìa

Lui è Er Pecetto perché suo padre era Er Pecione, pecione perché usava la pece, dato che faceva il calzolaio. Pecione, peraltro, a Roma indica anche una persona che non fa bene il proprio lavoro: può essere sinonimo di pasticcione o pressappochista, forse perché il mestiere del calzolaio era considerato storicamente un mestiere umile dove bisognava spesso arrangiarsi con quello che c’era. Pasolini, che era arrivato a Roma nel 1950 e aveva vissuto inizialmente a Ponte Mammolo, venne ad abitare a Monteverde nel 1954, quando Silvio aveva 12 anni. Perciò lui era uno dei più piccoli tra i ragazzi che il poeta aveva conosciuto, amato e dai quali aveva preso ispirazione, studiandoli come un antropologo ma anche condividendo davvero pezzi di vita con loro, come uno che avrebbe voluto essere come loro, che idealizzava e in fondo invidiava la loro purezza non ancora contaminata dalla società dei consumi, quella società che lui detestava perché portatrice di sviluppo ma non di progresso. Rifiutava l’omologazione culturale derivante dall’avvento della televisione, che faceva desiderare a tutti di appartenere alla società borghese, perdendo la propria identità. È per questo, per questo suo modo di studiare, che lui – dice Silvio – arrivava a certe conclusioni… che gli altri non c’arrivavano. Ed è per questo che il suo messaggio è ancora valido, perché lui era cinquant’anni avanti e molti, anche oggi, rispetto a lui stanno 300 anni indietro. “Laureati analfabeti” li chiama, perché “hanno preso la laurea, ma la prima elementare non l’hanno fatta”.
Er Pecetto racconta con orgoglio che a trovarlo nel suo studio sono venute tutte e tre le università di Roma, ma anche gli americani, dall’università del Texas che ha dedicato due mattine, con dei seminari, a Pasolini e anche un po’ a lui, e perfino dalla Georgia, “il paese di Stalin”. E poi ci racconta chi era Pasolini, quante cose aveva capito prima degli altri. Per esempio sulla Chiesa: ora ci sono diverse figure di papi piuttosto discusse, tra cui forse una delle più oscure, su cui più dubbi sono stati sollevati, è quella di Pio XII, per il suo ostinato silenzio nel non condannare mai il nazifascismo e l’antisemitismo, né durante ne dopo la Seconda guerra mondiale. Ma Pasolini già nel 1958, alla morte di Pio XII, scrisse “A un papa”, una poesia che è una vera e propria invettiva. Il poeta, partendo dalla morte parallela ma tanto diversa, avvenuta qualche giorno prima, di un anonimo senza fissa dimora, coetaneo del Papa, si rivolge al pontefice accusandolo di essere un pastore inadatto, incapace di badare alla sua “grande greggia romana ed umana”, che anzi disconosce, ignora: “Tu non ne sapevi niente: come non sapevi niente / di altri mille e mille cristi come lui”, come se tale massa di poveracci fosse “indegna” dell’amore di un papa. E qui Silvio ce la recita a memoria:

Non è decisamente uno che si fa pregare, nel raccontare. E può raccontare anche aspetti un po’ più intimi di Pasolini, come la sua ormai arcinota passione per il calcio. Tutti sanno che Pasolini giocava da ala, che era instancabile anche se magari non con un piede raffinatissimo, che amava giocare anche con i “suoi” ragazzi. Ma non tutti sanno che una volta, mentre si trovava a Mosca, gli arrivò la richiesta di giocare una partita a Nettuno e lui non ci pensò due volte: prese un aereo, si precipitò a Roma, andò a Nettuno a giocare e poi subito riprese un volo per tornare a Mosca, e tutto per una partita di pallone!
Pasolini era un uomo atletico, e molto forte fisicamente, a dispetto della sua immagine da intellettuale. Silvio si ricorda come era difficile affrontarlo, quando giocava a calcio o quando per gioco partecipava alle loro zuffe di ragazzini. Anche per questo è convinto, come tutti quelli che hanno studiato a fondo il caso, che non possa essere stato il solo Pino Pelosi, il diciassettenne che è passato alla storia come il suo assassino, a massacrarlo in quel modo orribile la notte del 2 novembre 1975. Del resto sono moltissime le cose che non tornano nel racconto di Pelosi di quella notte, ed è stato anche lui stesso ad ammettere pubblicamente più di una volta, prima di morire di tumore a 59 anni il 20 luglio 2017, che c’erano altre persone sulla scena del delitto all’idroscalo di Ostia. Si sa ormai per certo che a schiacciare il corpo passandogli sopra non fu la sua Alfa GT 2000, ma un’altra auto, forse uguale alla sua. Come si sa – e Silvio ci tiene a dirlo – che Pelosi non era un ragazzo “rimorchiato” quella notte, ma un ragazzo che Pasolini conosceva da quattro mesi e con cui quella sera aveva appuntamento, forse per andare a Ostia a riprendersi le pizze trafugate di Salò, il suo ultimo film. E lì sarebbe caduto in una trappola… lui, Er Pecetto, ha indagato per 15 anni e ha una sua verità completamente diversa da quella “ufficiale” uscita dall’unico processo che condannò Pelosi a 9 anni e 7 mesi. Pelosi non è mai scappato dal luogo del delitto guidando la macchina di Pasolini, ma è stato caricato da un’altra persona che guidava (Silvio dice che sa anche il nome ma non può dirlo perché non ha prove), e poi però lasciato quasi subito per strada perché era stato male di stomaco, mentre quest’altra persona sarebbe scappata verso la Tiburtina dove ha abbandonato l’auto. Mentre nel rapporto dei carabinieri, che sarebbe stato chiaramente falsificato, si dice che Pelosi sarebbe stato fermato mentre guidava a 160 all’ora sulla via Ostiense, tornando verso Roma. Silvio dice di aver avuto per 18 anni i servizi segreti alle calcagna, proprio perché indagava sui fatti di quella notte. Ma di tutto questo parleremo meglio dopodomani, quando incontreremo Simona Zecchi, una giornalista che ha anche lei indagato per anni sulla tragica fine di Pasolini, sulla quale ha pubblicato due libri.
Di sicuro la versione “ufficiale” faceva molto comodo a chi voleva uccidere non solo l’uomo Pasolini ma anche la sua figura pubblica, facendo credere che avesse trovato la morte in una sordida storia di sesso a pagamento con un ragazzino. L’omosessualità di Pasolini è sempre stata sfruttata da chi lo voleva attaccare per i tanti motivi per cui era politicamente scomodo – dice Silvio – ma la sua era un’omosessualità pubblica e dichiarata, contrariamente a quella di diversi politici della cosiddetta prima Repubblica, che era nascosta. Ma a Roma certe cose si sanno…
Sempre a memoria, Silvio recita altre due poesie di Pasolini che gli piacciono particolarmente. La prima è “21 giugno 1962”, dove tra l’altro scrive “Ho pietà per i giovani fascisti”.

Lavoro tutto il giorno come un monaco
e la notte in giro, come un gattaccio
in cerca d’amore… Farò proposta
alla Curia d’esser fatto santo.
Rispondo infatti alla mistificazione
con la mitezza. Guardo con l’occhio
d’un’immagine gli addetti al linciaggio.
Osservo me stesso massacrato col sereno
coraggio d’uno scienziato. Sembro
provare odio, e invece scrivo
dei versi pieni di puntuale amore.
Studio la perfidia come un fenomeno
fatale, quasi non ne fossi oggetto.
Ho pietà per i giovani fascisti,
e ai vecchi, che considero forme
del più orribile male, oppongo
solo la violenza della ragione.
Passivo come un uccello che vede
tutto, volando, e si porta in cuore
nel volo in cielo la coscienza
che non perdona.

E la seconda è la famosissima e citatissima “Supplica a mia madre”, dove lui stesso si psicanalizza e mette a nudo il rapporto con la madre, figura centrale della sua vita, che ora riposa al suo fianco al cimitero di Casarsa, che abbiamo visitato lo scorso ottobre.

È difficile dire con parole di figlio
ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio.
Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,
ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore.
Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere:
è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.
Sei insostituibile. Per questo è dannata
alla solitudine la vita che mi hai data.
E non voglio esser solo. Ho un’infinita fame
d’amore, dell’amore di corpi senza anima.
Perché l’anima è in te, ma tu
sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:
ho passato l’infanzia schiavo di questo senso
alto, irrimediabile, di un impegno immenso.
Era l’unico modo per sentire la vita,
l’unica tinta, l’unica forma: ora è finita.
Sopravviviamo: ed è la confusione
di una vita rinata fuori dalla ragione.
Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.
Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile…

Dopo questo pranzo lungo, conviviale e molto piacevole, e dopo una bella foto di gruppo davanti all’osteria, Silvio ci accompagna in giro per il quartiere. Partiamo dalle case popolari di Donna Olimpia, i cosiddetti “grattacieli” dove sono stati girati diversi film (“Poveri ma belli”, per citarne soltanto uno).

Pasolini qui cercava, nel sottoproletariato romano, quella stessa purezza che prima aveva cercato nei contadini friulani, nel mito della campagna. E del resto anche qui all’epoca era “quasi” campagna. Silvio ricorda che lui e i suoi amici, quando uscivano dal quartiere, dicevamo “annamo a Roma”, come se questa non fosse Roma. E in un certo senso non lo era, loro avevano fortissima la percezione di essere in un luogo diverso e lontano, di fare soprattutto una vita diversa da chi abitava “a Roma”. Anche se Monteverde vecchio era qui, attaccato a Donna Olimpia. Lo capiamo bene percorrendo i pochi passi che ci separano dalla prima casa dove ha vissuto Pasolini a Monteverde, in via Fonteiana 86. Dove, incredibile a dirsi, abitava anche Carlo Emilio Gadda, l’autore di “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”. Oggi da fuori niente identifica questo palazzo, un parallelepipedo senza particolari segni di estro architettonico, eppure dall’ingresso spazioso, luminoso. È proprio nell’atrio che i proprietari del palazzo, in occasione del trentesimo anniversario della scomparsa dello scrittore, nel novembre del 2005, hanno fissato una targa di marmo; serve a ricordare che dal 1955 al 1959 Pier Paolo Pasolini ha abitato qui. Seguono i versi “Com’era nuovo nel sole Monteverde Vecchio!”. Per poterla vedere bisogna avere fortuna, deve entrare o uscire qualcuno che ti apra il portone. L’appartamento dove vivevano Pier Paolo e la madre Susanna aveva appena due stanze, cucina, bagno e un balcone stretto che s’affaccia su via Innocenzo X.

Il portone di Via Fonteiana 86

Nel 1959, dopo la morte del padre, si spostarono poco lontano, in via Carini al 45, un altro palazzo qualunque di una zona oggi abbastanza da “ceto medio”, ma stavolta con la targa di marmo all’esterno, sopra il portone. Da qui si sarebbero poi trasferiti nel 1963 all’EUR, dove rimasero fino alla morte dello scrittore.

La casa di Pasolini in via Carini 45

Doveva avere davvero qualcosa di speciale Monteverde in quegli anni se si pensa che qui abitavano anche i fratelli Giuseppe e Bernardo Bertolucci, Bernardo che poi sarebbe stato amico e collaboratore di Pasolini.
E prima, quando abitava a Ponte Mammolo, Pasolini era stato professore di lettere di Vincenzo Cerami alla scuola media di Ciampino, per raggiungere la quale prendeva ogni mattina due autobus più la littorina.
Tornando verso Monteverde nuovo, si può vedere ancora la scuola elementare Franceschi, proprio quella dove abitavano il Riccetto e Marcello, che muore dopo una lunga agonia in ospedale per le lesioni subite durante il crollo del 1951. All’epoca i Grattacieli si trovavano al fondo di una valle tra Monteverde Vecchio e Monteverde Nuovo e la strada da Ponte Bianco era una specie di sentiero, mentre via Donna Olimpia scendeva verso i grattacieli e si fermava poco oltre, proprio qui presso la scuola Franceschi, costruita nel 1939 di fronte ai grattacieli, e allora piena di sfollati della guerra. La scuola è piuttosto imponente, con ampio portico a pilastri. Anche Silvio “Er Pecetto” ha vissuto provvisoriamente qui con la sua famiglia per via delle lesioni alla vecchia casa dovute ai bombardamenti di San Lorenzo.

La scuola Franceschi

Non lontano c’era il campetto dove Pasolini giocava a calcio con i ragazzi di Donna Olimpia, ma qui ci vuole immaginazione perché ora c’è un’altra scuola elementare.

Qui c’era il campetto

Silvio continua a camminare e a raccontare inarrestabile, sembriamo più noi gli ottantenni che lui. Un’altra storia gustosissima è quella dell’intenso rapporto epistolare che circa 15 anni fa ha avviato con la regina Paola del Belgio (Paola Ruffo di Calabria), dopo averla conosciuta in occasione di una sua visita romana; un rapporto che in qualche modo sembra sia stato anche “licenzioso”, nel senso che lui si permetteva di usare espressioni molto confidenziali con quella che allora era ancora una regina. Ma lei era affascinata da lui…
Effettivamente, non è impossibile come sembra, perché Silvio è davvero un grande affabulatore. Nella vita ha fatto di tutto: garzone di vinaio da ragazzo (ma si è stufato presto), poi imbianchino, tappezziere e chissà quanti altri lavori, ma al fondo è sempre rimasto pittore e poeta.

Abbiamo concluso l’incontro con lui nel suo piccolo studio di via Ozanam, dove le immagini e i memorabilia pasoliniani convivono con i suoi quadri. Come pittore ha uno stile che ricorda un po’ Chagall (e lui non nega che qualcosa di chagalliano ci sia, come ispirazione), ma con una tecnica a mosaico che è effettivamente tutta sua. E anche come poeta non è niente male. Sentitelo declamare questa sua poesia dedicata all’aquilone.



Ma il suo orgoglio sono anche i vari servizi che sono usciti su di lui su giornali e riviste: per esempio sul Messaggero, sul New York Times (!) e su Frigidaire, il più fresco di stampa.

Uno dei due ragazzini in questa foto è proprio lui, Er Pecetto

https://www.facebook.com/SilvioParrello

È veramente un peccato doverlo salutare, ma il pomeriggio è volato e dobbiamo tornare in albergo per farci almeno una doccia prima di andare a cena.

L’Altare della Patria a Piazza Venezia

Per stasera Claudio ha prenotato in un posto che conosce lui che è abbastanza in zona Termini. Si chiama Trattoria Sapori di casa e come sempre non delude: antipasti a profusione e un’ampia scelta di primi. Io ho mangiato una carbonara di livello altissimo. Ma la cena è stata ravvivata soprattutto dalle chiacchiere di musica che andavano a ruota libera, mentre buttavamo ogni tanto un occhio al Napoli che stava finalmente certificando il suo scudetto a Udine. Del resto siamo ascoltatori di una radio… e grazie alla nostra compagna di viaggio Graziella da Modena abbiamo scoperto un gruppo che imperversava nell’Emilia dei ruggenti sixties e che poi è diventato il tormentone del viaggio. Il ricordo inizialmente era un po’ impreciso (dobbiamo ammettere che gli anni passati non sono pochissimi), perciò siamo partiti cercando Tony e i Marines, per scoprire poi che erano Johnny e i Marines. E siccome è stato un tormentone per noi, ora tocca anche a voi… mi sembra quindi d’uopo concludere questo primo capitolo con un loro pezzo pacifista, nel pieno clima di quegli anni, che non fa mai male.

https://www.youtube.com/watch?v=DPLGU4MukYA

Ma non finisce qui…

(TO BE CONTINUED…)